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Pubblicazione: 30/07/2015
La pianta del pistacchio è originaria del bacino Mediterraneo, quasi certa è la provenienza persiana, ed era già conosciuta alle grandi civiltà Mesopotamiche e ai Greci, che lo consumavano ben prima della nascita di Cristo. Le prime coltivazioni nel territorio italico risalgono invece ai primi anni dell’Impero Romano, in Liguria, Puglia, Campania e Sicilia, ma con scarso successo: le condizioni climatiche non favorevoli impedirono alla pianta di attecchire e nel giro di poche decine di anni queste coltivazioni diventarono infruttifere. Ci volle il genio degli Arabi, sbarcati in Sicilia otto secoli dopo, per innestare nuovamente la pianta e coltivarla con tecniche adeguate, capaci di assicurare una produzione costante, destinata a sviluppare caratteristiche di eccellenza nella zona di Bronte.
E’ la cenere vulcanica che intride il terreno delle caratteristiche “sciare” intorno a questa cittadina, infatti, il segreto del pistacchio che viene qui coltivato. I sali minerali che arricchiscono la terra, uniti alla poca acqua presente in profondità, sono infatti i responsabili principali delle proprietà organolettiche che trasformano un semplice pistacchio in quell’”oro verde” che lo rende famoso in tutto il mondo.
Nessuno potrebbe immaginare che tutto abbia avuto inizio da una specie selvatica ed infruttifera, la specie “terebinto”, che cresce spontanea nel terreno lavico: furono gli Arabi ad intuire che le doti di longevità e di resistenza di questa pianta potevano costituire un formidabile punto di partenza per una nuova coltura, innestando su di essa il pistacchio napoletano. La tecnica perdura da allora, fino ai giorni nostri e, oltre ad assicurare una produzione di indiscutibile qualità, ha anche permesso di rendere coltivabili e fruttiferi terreni altrimenti aridi. A fronte di condizioni climatiche assolutamente favorevoli (con un clima primaverile di circa 12°C e quello della maturazione ad agosto di 27°C) e di una altitudine che di nuovo rappresenta l’optimum per questa coltivazione (dai 400 agli 800 m), il terreno lavico è però impervio e scarsamente arabile: il che rende necessaria la coltivazione e la raccolta a mano. Quest’ultima avviene ogni due anni, negli anni dispari ed è ancora affidata alle donne: il raccolto quotidiano si aggira intorno ai 20 kg (frutto privo di mallo), quattro volte di meno rispetto ad una raccolta fatta dalle macchine.
La «Pistacia vera» è una pianta bisessuale dal fusto corto molto simile, visivamente e da lontano, al fico ed ha le caratteristiche di un arbusto con rami diffusi, ricurvi, resinosi, molto longeva. È necessario un “maschio” ogni 20 “femmine” per l’impollinatura naturale.
Negli anni pari l’agricoltore procede alla cosiddetta potatura verde (le gemme in fase di crescita vengono tolte a mano).
La pianta in questo modo fortifica e non si indebolisce per generare i frutti assorbendo maggiori sostanze dal terreno lavico per produrre, l’anno dopo, un frutto con caratteristiche organolettiche superiori.
La pianta cresce molto lentamente e solo dopo dieci anni dall’innesto diventa “fruttifera” con una ramificazione ampia ed alle volte anche folta con pendenti grappoli di frutti; più che un arbusto la pianta può arrivare anche ai 5 metri di altezza assumendo quasi l’aspetto di una sorta di albero.
Il pistacchio ha un mallo sottile, che si sgretola facilmente sotto i polpastrelli, l’endocarpo allungato ed un seme unico, aromatico, di colore verde chiaro.
Il pistacchio di Bronte, detto “l’oro verde”, presenta caratteristiche uniche rispetto al pistacchio coltivato nel resto del mondo, che hanno permesso in questa zona della Sicilia nord-orientale di sviluppare un fiorente business per la popolazione locale (vero distretto).
Il frutto è ricco di proteine (18%), lipidi (56%) principalmente acidi oleici, carboidrati (85) di cui zuccheri (4%), fibre 10% ma anche potassio, fosforo, magnesio, calcio, selenio, ferro, zinco oltre a vitamina A, C, E. L’apporto energetico è di 606Kcal/100gr.
Dopo la raccolta viene separato dal mallo ed asciugato, la resa è circa del 27/30%. Il pistacchio in guscio, localmente detto “tignosella”, viene conservato dai produttori in ambienti bui ed asciutti e solo successivamente viene sgusciato per la commercializzazione.
Caratteristico è il suo colore verde quasi smeraldo per cui il pistacchio di Bronte è commercializzato prevalentemente “pelato”. La rimozione dell’endocarpo (la sottile cuticola di colore violaceo) avviene con una breve esposizione del frutto a getti di vapore acqueo ad alta pressione provocandone il distacco successivamente lo sfregamento dei rulli a velocità differenziata, elimina la cuticola definitivamente.
Il ciclo di lavorazione si conclude quando i pistacchi vengono essiccati, ancora una volta, e selezionati per evitare frutti di colore non conforme.
Un ringraziamento alla disponibilità dell’Avv. Galvagno che lo scorso maggio, in occasione della festa della granita siciliana, mi ha permesso di visitare i suoi poderi in provincia di Bronte, coltivati a cultivar “Napoletana”, innestata su “Pistacia terebinthus”.
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Caspita che lavoro! Non sapevo che la raccolta avesse questi ritmi temporali. Pero’ so che è un’eccellenza riconosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Grazie per questo tuo contributo.