
12/03/2025
Ubi Major Zafferano: immortali come lo zafferano
Qualche anno fa, tornavo verso quella che io considero casa, Amatrice, e ...
Pubblicazione: 25/01/2016
“Ma non mangerete quelli che ruminano soltanto o che hanno soltanto l’unghia bipartita, divisa da una fessura e cioè il cammello, la lepre e l’irace, che ruminano ma non hanno l’unghia bipartita; considerateli immondi; anche il porco, che ha l’unghia bipartita, ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri.. Non mangerete alcuna bestia che sia morta di morte naturale; la darai al forestiero che risiede nelle tue città, perché la mangi, o la venderai a qualche straniero, perché tu sei un popolo consacrato al Signore tuo Dio. Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre.” Deuteronomio, 14, 7-8 e 21
Esiste una cultura alimentare ebraica?
Dalla Bibbia si apprende che Adamo, il primo uomo, era vegetariano e il permesso di mangiare carne fu dato solo dopo il Diluvio Universale, a patto che l’animale fosse morto, e non per atto casuale, ma per mano dell’uomo. Successivamente Mosè, ritornato dal monte Sinai, perfezionò le regole alimentari sottolineando che i pesci devono essere provvisti di squame e di spine (che devono essere anche facili da togliere) e che i volatili non devono avere gli artigli e il becco ricurvo come i rapaci.
Le regole alimentari ebraiche sono stabilite dalla Torah, i cinque libri biblici (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio), che riportano le norme che si applicano anche a tutti gli aspetti della vita e trasformano l’atto del cibarsi da un atto di semplice sopravvivenza ad un rito sacro, un momento della quotidianità che aiuta a percorrere la via della perfezione.
La base della codificazione delle regole alimentari stabilite dalla Torah si trova nel concetto di kasherut, che significa adeguatezza e che indica la possibilità o meno di un cibo ad essere consumato da un ebreo osservante.
Nel corso del tempo le regole sono poi state commentate ed interpretate dai rabbini nel Talmud,ovvero la raccolta delle loro discussioni sui significati e sull’applicazione dei precetti divini.
Perché tutto questo? La tavola viene vista come un altare e le regole che normano la preparazione di un pasto, unitamente a tutte le regole che normano la quotidianità, concorrono a costruire una guida per l’esistenza con modelli di comportamento che, se osservati, porteranno alla qedushah, la perfezione, la santità. Un’aspirazione raggiungibile da ogni singolo membro della comunità.
Quando un cibo è impuro? Quando proviene da un animale non adatto all’alimentazione e, attenzione, la norma non è una critica nei confronti dell’animale. L’irace, per esempio, è il mammifero più simpatico del mondo, ma non è puro, come ben viene spiegato nel Levitico e nel Deuteronomio, e quindi non si può mangiare.
Classificazione degli animali puri ed impuri
Quadrupedi
Gli animali devono avere lo zoccolo diviso in due e devono essere ruminanti. Sono quindi ammessi: alcuni bovini (bue, bufalo, bisonte americano), la capra, gli ovini, gli antilopini (gazzella, camoscio, renna, ecc.). Sono invece esclusi i tilopodi (cammelli, dromedari, lama), i non ruminanti (tra cui tutti i suini – maiali, cinghiali – ippopotami) e tutti gli altri quadrupedi commestibili (in particolare equini, conigli e lepri).
Volatili
Sono permessi i volatili che non appartengono a famiglie di animali notturni o rapaci.
Animali acquatici
Sono permessi solo i pesci che hanno pinne e squame. Sono quindi proibiti, tra gli altri: molluschi, cefalopodi, crostacei e mammiferi marini.
Insetti, Invertebrati
Proibito il consumo di tutti i tipi di insetti e di animali invertebrati, tra i quali: le rane, i serpenti e vermi. Infine sono sottoposti alle regole della kasherut anche gli additivi alimentari (vedi qui la tabella http://www.italykosher.com/Additivi/default.asp)
Tuttavia astieniti dal mangiare il sangue, perché il sangue è la vita: tu non devi mangiare la vita insieme con la carne. Non lo mangerai, lo spargerai a terra come acqua.” Deuteronomio 12, 23-24
Questo divieto circa il sangue impone quindi delle regole ben precise anche per la macellazione rituale, la Shechità, alla quale segue il Bedikà (controllo sanitario), il Nikkur (eliminazione grassi vietati) e la Kasherizzazione (spurgatura del sangue). L’operazione può essere eseguita solo dallo Shokhet, macellaio nominato dalle autorità rabbiniche e l’atto dell’uccisione dell’animale deve avvenire attraverso l’incisione della giugulare e il taglio della trachea che ne determina la morte immediata, un atto quindi intenzionale e non dovuto al caso. L’animale diventerà poi carne e muscoli di chi lo consumerà ed è fondamentale che la sua morte avvenga con il massimo rispetto e procurando la minor sofferenza possibile. Dopo la spurgatura del sangue si procede alla salatura, alla risciacquatura ed all’eliminazione del nervo sciatico (ghid ha-nasheh) in ricordo degli sforzi di Giacobbe durante la sua lotta con l’angelo che lo colpì proprio in quel punto.
“Non cucinerai il capretto nel latte di sua madre”
Questa regola viene citata per ben tre volte nella Torah (Esodo 23,19 e 34,26 e Deutoeronomio 14,21) e pone il divieto di cucinare insieme al sangue anche i derivati del latte, come il formaggio, il burro e lo yogurt in quanto non possono essere consumati contemporaneamente. A tal scopo ogni cucina dovrà essere provvista di pentolame separato per i due tipi di alimenti, la carne (besari) e il formaggio ed i latticini (halavi).
Chiudono questa panoramica un’ultima categoria di cibi detta parve (neutra), come le uova, le verdure, la frutta, il sale, l’olio, le spezie e lo zucchero, che possono essere consumati indifferentemente sia con cibi besari che con cibi halavi. Un’ultima nota per le uova: vanno aperte ad una ad una e non si possono utilizzare quelle fecondate, che contengono appunto quei puntini rossi che corrispondono al sangue.
Le festività
Come si diceva prima, se la tavola corrisponde all’altare, le feste religiose sono fondamentali per la vita ebraica e comportano la preparazione e il consumo di piatti particolari, rispettando un simbolismo che corrisponde alla festa medesima e alla stagionalità, essendo anche molte feste pagane assorbite successivamente dalle consuetudini religiose.
Shabbat (Sabato)
“Ricordati del giorno del Sabato per santificarlo. Durante sei giorni lavorerai e farai ogni tua opera, ma il settimo giorno sarà giornata di cessazione del lavoro, dedicato al Signore tuo Dio; non farai alcun lavoro né tu né tuo figlio né tua figlia… Poiché in sei giorni il Signore creò il cielo e la terra, il mare e tutto quanto essi contengono, riposò il giorno settimo “ (Esodo 20,8-11).
Lo Shabbat inizia un’ora prima del tramonto del venerdì sera per concludersi al momento dell’apparizione delle prime tre stelle il sabato sera e il riposo deve essere totale. Le donne ebree hanno dovuto quindi escogitare nel tempo piatti che potessero essere preparati precedentemente e consumati freddi il sabato oppure che terminassero la cottura proprio il pranzo del sabato (lunghe cotture, quindi).
La cena del venerdì sera (aruchat Shabbat) è naturalmente la più ricca e carica di simboli e si apre con lo spezzare la hallah, un pane intrecciato. Durante la sua preparazione la donna deve poi ricordarsi di bruciare un pezzetto dell’impasto, a ricordo delle offerte che venivano fatte al Tempio. E’ un momento importante per la famiglia: la tavola verrà preparata con una tovaglia bianca e con il più bel servizio di piatti e al centro della tavola saranno posti i due pani coperti da un candido tovagliolo.
Rosh ha-Shanah (Capodanno ebraico)
“Egli tornerà ad avere pietà di noi, calpesterà le nostre colpe e getterà in fondo al mare i nostri peccati“ (Michea 7,19)
E’ il Capodanno degli ebrei e il suo nome significa “la testa dell’anno”. cade l’1 e il 2 Tishri (circa a metà settembre) e secondo un’antica traduzione sarebbe l’anniversario della creazione del mondo.
Il Rosh ha-Shanah è il giorno in cui l’uomo comincia a fare un esame di coscienza per giudicare se stesso, il proprio comportamento durante l’anno, gli errori commessi, le tentazioni alle quali non ha resistito. Si pone l’obiettivo di cambiare e di rendere più forti le proprie decisioni. L’errore è umano ma, essendo l’uomo perfettibile, questo è il momento giusto per iniziare in modo solenne il nuovo anno. Gli auguri quindi si faranno scambiandosi fette di mele intinte nel miele, ad indicare le future gioie che l’anno nuovo non tarderà a portare.
Nella veglia di Rosh ha-Shanah si usa servire quindi dei piatti in cui la dolcezza o il nome siano di buon augurio; la hallah sarà rotonda, ad indicare sia la corona di Dio, sia la moneta, sia il cerchio della vita, spesso decorata con figure di uccelli, a simboleggiare la speranza che le preghiere volino in cielo.
Il cibo consumato, spesso a bocconcini, verrà preceduto da suppliche e benedizioni, augurio ed auspicio per il nuovo anno, ed ogni cibo avrà la sua formula pronunciata prima e dopo averlo mangiato: si inizierà con il dattero (tamrè) e si continuerà con i fichi (te’enim), la zucca (kerà), finocchi o fagioli (ruvlyà), porri (keratà), bietola (sllkà), melograni (rlmmonìm) ed infine la testa di agnello (kéves) ed il pesce (dagghìm).
Yom Kippur (Giorno del Perdono)
“Poiché in quel giorno Egli vi perdonerà per purificarvi.
Dinanzi al Signore sarete purificati da tutti i vostri peccati” Levitico 16,30
Yom Kippur è il Giorno dell’Espiazione o del Perdono, cade dieci giorno dopo il Rosh ha-Shanah ed è un giorno di digiuno che dura 24 ore, dal tramonto del Tishri alla sera dell’indomani.
Il pasto che precede il digiuno, che avviene nel tardo pomeriggio, sarà quindi abbondante e si avrà l’accortezza di non esagerare con sale e spezie, per non accentuare il desiderio di bere nelle 24 ore successive.
E’ un giorno dedicato alle preghiere, ci si veste di bianco, il colore della purezza, non si indossano scarpe di pelle, né accessori che sottolineino la propria ricchezza, ci si lava in modo consueto e non ci si pettina. In casa si aumenta l’illuminazione e il pranzo, abbondante, è caratterizzato da pietanze leggere, a base di bordo, carne di pollo e di pesce e si chiude con un dolce sostanzioso, ma delicato. Il digiuno si romperà con focacce e ciambelle, caffè o tè, il latte di mandorla ed i biscotti di sum-sum (semi di sesamo). Per restare in Italia, in Piemonte, per esempio, si mangiano delle fette biscottate (brusandole o bruschette) intinte nel vino rosso aromatizzato con chiodi di garofano e cannella mentre a Venezia si usa rompere il digiuno con il Bollo e la limonata zuccherata.
Sukkot (Festa delle Capanne e del Raccolto)
“Celebrerai la festa di Sukkot per sette giorni quando raccoglierai il prodotto della tua aia e del tuo tino, e ti rallegrerai in questa festa tu, tuo figlio e tua figlia, il tuo servo, la tua serva, il levita, il forestiero, l’orfano e la vedova che saranno entro le tue porte.” Deuteronomio 16, 13-14
Il Sukkot, o Festa delle Capanne o dei Tabernacoli, inizia il 15 del mese di Tishri (settembre-ottobre), appena dopo cinque giorni la solennità dello Yom Kippur, e dura ben sette giorni. Ricorda i quarantenni di esilio che il popolo d’Israele trascorse peregrinando nel deserto prima di raggiungere la Terra Promessa, dimorando in abitazioni fragili e precarie. La permanenza nel deserto fu molto lunga in quanto il popolo, nonostante fosse stato testimone di prodigi e miracoli, aveva dato più volte prova di dubbi e timori dimostrando, a causa dei troppi anni di schiavitù, di non aver acquisito la necessaria maturità (Kopciowski, 2001: 87).
Ogni ebreo osservante quindi dovrà costruire la sua sukkat, capanna, in ottemperanza a quanto stabilito nel Levitico (23, 33-34) e dovrà posizionarla in giardino o sul balcone di casa, dovrà avere un tetto di frasche ed essere decorata con ogni tipo di frutta e verdura di stagione a testimoniare l’abbondante raccolto. Il Talmud fissa le dimensione e la forma della sukkot, che diventerà la dimora della famiglia per tutto il tempo della festa: si consumeranno i pasti, si riceveranno gli amici ed i parenti, si leggerà e studierà. Ecco perché nella capanna vengono trasferiti da casa tappeti, quadri e vasellame per renderla piacevole e confortevole.
Un simbolo importante del Sukkot è il cedro (etrog) che adorna la tavola nei giorni di festa ed esistono delle società che si occupano di inviare alle comunità sparse in ogni parte del mondo questo agrume così prezioso. E’ una festa gioiosa, come si diceva prima, e allietata da pasti abbondanti, da dolci ricchi di frutta e di miele, di mandorle, uvetta e marmellata, da pasticci di verdure e cibi ripieni, come i timballi, da verdure fresche e in concia e da creme grezze di zucca.
Hannukkah (Festa delle luci)
E’ una festa che cade verso la fine di dicembre e ricorda la vittoria dell’esercito guidato da Giuda Macabro che sconfisse le truppe seleucidi che erano entrate in Gerusalemme, nel 165 a.C., profanando il tempio, che doveva quindi essere purificato, e la Menorah (candelabro) doveva restare accesa sempre. Purtroppo non c’era olio a sufficienza, ma quel poco rinvenuto fra le macerie bruciò per ben otto giorni. Per commemorare questo miracolo è tradizione accendere ogni sera della festività una luce dell’hannukah, il tradizionale candelabro a nove bracci e il cibo rituale, visto l’importanza dell’olio, non può che essere fritto, dai Latkes, le gallette di patate della tradizione ashkenazita, ai Pampuches separati fino alle Sufganiot, golose ciambelle che si mangiano in Israele.
Tu BiShvat (Capodanno degli Alberi)
“Il Signore piantò un Giardino nell’Eden” Genesi 2,8
Per il popolo ebraico la natura e la vegetazione hanno un’importanza fondamentale e quindi viene dedicata una giornata di festa al compleanno degli alberi.
La ricorrenza è stata fissata in concomitanza con il rifiorire della natura e lo sbocciare dei primi fiori sugli alberi di mandorlo in Israele in un periodo in cui spesso in altre parti del mondo è ancora inverno. Il poeta Jehudah ha-Levi scrisse “Io vivo nell’ovest, ma il mio cuore è all’est. Fra la neve e il ghiaccio io rivolgo il mio sguardo verso il paese in cui in questo momento la natura si risveglia: il mio paese!”
In Persia c’è la dolcissima usanza di condurre i bambini nel giardino della scuola, presso un albero ancora spoglio, e di farlo fiorire adornandolo con fiori di carta appositamente preparati. A Venezia la comunità ebraica organizza un seder, un banchetto con tutte le primizie menzionate nel versetto della Torah: il grano, sotto forma di biscotti, le olive, simbolo di bellezza e luce, il dattero, simbolo di completezza ed armonia, l’uva, che contiene in sé liquido e cibo e questi cibi vanno prima benedetti e poi consumati con un bicchiere di vino bianco. Un secondo gruppo di frutti, il fico, dalle radici morbide ma che si infiltrano nella dura roccia, il melograno, simbolo di ricchezza e virtù e il cedro che rappresenta il cuore dell’uomo vengono consumati con un bicchiere di vino rosso. A chiusura, una mela.
Purim (Festa delle Sorti)
Si tratta di una festa che si svolge all’insegna dell’allegria, molto amata dai bambini, che cade il 14 del mese di Adar. E’ anche la festa del “nascondimento”, dove si incoraggia il consumo di vino, una specie di “semel in anno licet insanire”, e si commemora l’episodio della regina Ester e dello zio Mardocheo, che salvarono gli ebrei dal massacro ordinato dal perfido Aman, il consigliere del re persiano Assuero, sposo di Ester. La ragazza ebrea venne scelta dopo che Assuero ripudiò la precedente moglie, non sapendo che fosse ebrea (ecco l’idea di travestimento). Quando il perfido consigliere chiese ed ottenne dal re di massacrare tutti gli ebrei Ester, che ne venne a conoscenza attraverso lo zio, supplicò lo sposo di salvare il suo popolo, confessando di essere essa stessa ebrea. Ed essendo uno dei pochi accadimenti del popolo ebreo che si concluse felicemente, ecco alla la licenza al massimo divertimento, fino all’ubriachezza. I bambini indossano maschere e ci si scambia dolcetti ripieni di ogni bontà e le Orecchie di Amman si trovano in tutte le tavole di tutte le comunità.
Pesach (Pasqua Ebraica)
“Tu poi spiegherai a tuo figlio, in quel giorno:
Noi pratichiamo questo culto in onore del Signore
per tutto quello che Egli operò in mio favore alla mia uscita dall’Egitto” Esodo 13,8
Pesach è una delle più importanti festività ebraiche. Si celebra il 14 del mese di Nissan (marzo-aprile) e dura otto giorni per la diaspora e sette in Israele. Sta ad indicare il “passaggio, salto” che fece Dio, passando oltre le case degli ebrei segnate dal sangue dell’agnello sacrificale, risparmiando i loro primogeniti dalla morte che colpì invece tutti i figli maggiori dei egiziani.
Pesah commemora soprattutto il passaggio dalla schiavitù alla libertà ed anticamente era anche una festività agricola che celebrava la raccolta dell’orzo.
Per tutta la durata della festa è divieto assoluto assumere cibo lievitato (chametz) e nei giorni precedenti la casa viene pulita attentamente da cima a fondo, alla ricerca di ogni singola briciola, che dovrà poi essere bruciata. Da qui alle pulizie di primavera il passo è davvero breve.
La cena pasquale, Seder, si svolge rispettando scrupolosamente il rituale regolato dalla tradizione e la tavola viene apparecchiata con un servizio di piatti speciale che vede nel suo protagonista principe il piatto o vassoio (Ke’arah) del Seder, che raccoglie i sei cibi simbolici. Se nella tavola dello Shabbat le Hallah fanno bella mostra di sé coperte da un telo bianco, durante la Pesah saranno i pani azzimi, le matzot, ad essere condivise e al centro del tavolo, nella misura di tre pezzi.
Ecco gli “ingredienti” del piatto del Seder, oltre ai tre pezzi di azzime:
Maror, erba amara, che simboleggia l’amarezza della schiavitù patita in Egitto. In italia vengono usate le diete e l’insalata romana, dalle radici amare;
Charoset, un impasto di frutta secca e noci tritate e mescolate (una sorta di marmellata solida), che ricorda la malta utilizzata dagli schiavi ebrei. Si racconta che esistano tante ricette per il charoset tante quante sono le famiglie ebraiche;
Karpas, il sedano, che viene intinto nell’acqua salata e che simboleggia le lacrime degli schiavi ebrei;
una zampa di agnello o un osso, anche di pollo, che simboleggia il Korban Pesach, il sacrificio dell’agnello offerto al tempio, arrostito e consumato nella notte della veglia;
Beitzah, un uovo sodo, in ricordo del lutto per la distruzione del tempio e memoria dei tempi duri sostenuti dagli ebrei durante la permanenza nel deserto;
in qualche famiglia anche la lattuga.
La tavola, inoltre, dovrà essere apparecchiata con:
una Haggadàh per ogni commensale (testo rituale, i primi a raccogliere illustrazioni furono quelli pubblicati a Venezia e ne esiste una risalente al XIV secolo, di Sarajevo, che riporta l’immagine della Terra rotonda);
un bicchiere di vino bianco per ogni commensale più uno per il profeta Elia;
un bicchiere per il vino rosso e ogni commensale deve berne almeno quattro, che corrispondono ai quattro verbi pronunciati da Dio nei confronti del popolo schiavo: “Io vi farò uscire, io vi libererò dai pesanti fardelli, io vi salverò, io vi sceglierò come popolo.” (Esodo 6,6-7)
Shavuoth o Festa delle Primizie
Sette settimane dopo la Pesach, il giorno 6 di Sivan, cade questa festa, che nel calendario cristiano può essere identificata con la Pentecoste e e che celebra il ringraziamento per il dono della Torah ricevuta sul Monte Sinai e la consuetudine di effettuare un pellegrinaggio al Tempio portando in offerta delle primizie. Si usa decorare la sinagoga con fiori, specialmente rose, e si consumano pasti a base di latticini, senza carne né vino.
Tish be-Av
E’ il giorno più triste del calendario ebraico. E’ un giorno di lutto e digiuno che cade in estate, tra luglio ed agosto, e celebra la distruzione del primo e del secondo tempio di Gerusalemme, nonostante tra il primo e il secondo avvenimento siano trascorsi 656 anni. Si osserva un digiuno molto rigoroso, come per lo Yom Kippur, e l’ultimo pasto è un uovo sodo e un pezzo di pane intinto nelle ceneri.
Mimouna
E’ la festa di Pesach che viene celebrata dagli ebrei nordafricani e dopo la massiccia emigrazione di marocchini in Israele è diventata festa nazionale.
Shabbat Bescialach
“Allora il Signore disse a Mosè: stendi la mano sul mare… e le acque ritornarono e ricoprirono i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del Faraone i quali erano entrati dentro al mare dietro agli Israeliti; e non inscampò di loro nemmeno uno. Ma i figli di Israele camminarono all’asciutto in mezzo al mare, e le acque erano a loro a guisa di muro a destra e a sinistra” Esodo, cap. XIV-XV
Si tratta di un sabato in cui si celebra il miracolo del Mar Rosso e si usa preparare e consumare una particolare pietanza chiamata “Ruota del Faraone” che a Venezia prende il nome di Frisensal ed a Ferrara Hamin.
Molte quindi sono le regole che normano un atto indispensabile come quello del cibarsi e sono così scrupolose che a prima vista potrebbero far considerare la cucina ebraica una delle più monotone del mondo.
Niente di più errato.
La diaspora, ovvero il fatto che per migliaia d’anni gli ebrei non potessero raccogliersi in un determinato luogo, dando vita ad una nazione collocata in una specifica area geografica, ha fatto si che le innumerevoli comunità ebraiche sparse nei cinque continenti abbiano prodotto innumerevoli consuetudini gastronomiche, offrendoci una incredibilmente ricca tavolozza di colori e di sapori. Provate a pensare ad un ortaggio come il carciofo e in quanti modi diversi viene preparato e condiviso a Venezia, a Roma o a Livorno. Ed ho citato un solo ortaggio!
Vorrei chiudere con un aneddoto yiddish, tratto da F. Folkel, Storielle Ebraiche, e raccontatomi da amico incontrato al Ghetto durante la giornata della cultura ebraica, che si svolge la prima settimana del mese di settembre.
“Durante una cena ufficiale un vescovo e un rabbino sono seduti uno accanto all’altro. Viene servito del prosciutto cotto caldo con degli spinaci e il rabbino rifiuta di mangiarne.
“Non assaggia questo maiale squisito? “ chiede il vescovo con un sorriso malizioso. “No, monsignore, non posso mangiarne perché la mia religione me lo vieta”.
“E’ un gran peccato, signor rabbino, lei non sa cosa perde.”
Alla fine della cena ci sono i soliti convenevoli. Dice il rabbino al vescovo “Monsignore, la prego di porgere i miei rispettosi saluti a sua moglie.”
“Ma signor rabbino, io non sono sposato, la mia religione me lo vieta.”
“Che peccato monsignore, lei non sa cosa perde.”
Fonti
Il rabbino Pino Arbib intervistato da Chiara Ugolini, Slow Food 17/2006
Scritti e testimonianze dal Corso di Cucina Ebraica, La Cucina del Ghetto, Venezia 2013
Partecipano come contributors:
Fausta Lavagna, Torta al miele e Lekach
Micaela Ferri, Torta degli ebrei
Marianna Bonello, Un pranzo dal sentore ebraico
Sara Sguerri, bordatino livornese
Giorgia Pasqualotto: Ful di fave di famiglia
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Sono sempre in cerca di informazioni sulla cucina ebraica, perché la amo molto. Grazie per questo bellissimo articolo Anna Maria.
Grazie! E durante questa settimana scopriremo davvero molto di come la contaminazione avvenuta nel corso del secoli ci ha restituito piatti e storie tutte da scoprire.
Ecco i miei contributi a questa settimana della cucina ebraica: La Challah a questo link: http://www.diverdediviola.it/diverdediviola/recipe/challah-ebraica/ e le Bagels, le ciambelle tonde di pane a questo link: http://www.diverdediviola.it/diverdediviola/recipe/bagels-per-aifb/
Valentina
Grazie Valentina per i tuoi piacevoli contributi (con buona pace ai problemi di dizione e di pronuncia 🙂
Cara Anna Maria, mi hai totalmente rapita con questo tuo post.
Per me, poi, poca conoscitrice della cucina ebraica, è stato davvero illuminante.
Grazie e spero di poter contribuire, facendo la tradizionale challah.
Grazie a te Cinzia!
Ho imparato tanto e so già che qualche libro della bibliografia cadrà tra le mie grinfie…
Si tratta di una bibliografia basica e che non non fa riferimento solo alla parte “gastronomica”: Moni Ovadia riesce a trasmettere moltissimo riuscendo a sorridere dei propri pregi e difetti.
Il mio modesto contributo alla settimana della cucina ebraica: i falafel di fave, saluti cari
http://unpezzodellamiamaremma.com/falafel-di-fave/
Grazie Tamara per la tua ricetta perfetta e per l’introduzione così dettagliata.
Una cucina che non conoscevo per niente, ma che mi ha fatto molto piacere scoprire, grazie Anna Maria 🙂
Grazie a te Filomena!
Aggiungo un altro piatto che amo molto, “Aliciotti con l’indivia”, è tipico della cucina giudaico-romanesca, ve lo consiglio
http://unpezzodellamiamaremma.com/cucina-ebraica-aliciotti-con-lindivia/
Grazie Tamara per aver condiviso con noi questo ulteriore contributo.
Grazie per tutte le informazioni che ho potuto leggere in questo articolo. Un mondo affascinante.
Grazie a te Michi e nei contributi che stanno via via giungendo in e per questa settimana troverai molto altro!
grazie Annamaria, davvero molto interessante, mi piacerebbe conoscere meglio questa cucina, e dopo aver studiato questo scritto passerò alla bibliografia….
Buon studio Elena!
Ciao Anna Maria, mi hai affascinata. Questo articolo è un grande approfondimento riguardo la cultura alimentare ebraica. L’aneddoto yiddish, una perla… Grazie! dani
L’umorismo Yiddish è stato una rivelazione anche per me: da approfondire assolutamente, cominciando con tutta la filmografia di W. Allen 🙂
Un mondo completamente diverso dal nostro, pur spesso così fisicamente vicino. Il tuo post è un bellissimo modo di iniziare a scoprirlo, pone le basi per una conoscenza più approfondita. Grazie di cuore! 🙂
Grazie a e Daniela: ora attendiamo una tua meravigliosa ricetta “interpretativa” 🙂
Anna Maria questo tuo post mi ha letteralmente rapita!
Vi lascio il mio piccolo contributo che ho pubblicato proprio adesso per il giorno della Memoria:
http://iocomesono-pippi.blogspot.it/2016/01/challah-il-pane-del-sabato.html
Grazie ancora per questa bella realtà che è il Calendario!
un abbraccio
Pippi
Grazie a te Laura! E come al solito le tue foto sanno rapire.
Ho pensato di dare il mio contributo con questa ricetta: https://scelgounlibroperbambini.wordpress.com/2016/01/27/pane-dolce-shabbat-cioccolato-bianco/ Grazie mille per la possibilità data a tutti di poter partecipare condividendo qui le ricette!
Grazie per aver partecipato con la tua ricetta e grazie di cuore di aver scritto nel post che il Calendario è diventato la tua fonte di ispirazione gastronomica. Buona continuazione 🙂
questo è il mio contributo alla settimana ebraica.
http://burro-e-miele.blogspot.in/2016/01/mandelbrot-da-prato-alleuropa-centrale.html
Grazie 🙂
Grazie per i tuoi contributi Eleonora: sia i Mandelbrot che “la panacea di tutti i mali” raccontano del tuo rapporto gioioso con il cibo che dovrebbe “contaminare” sempre 🙂
E su richiesta di Anna Maria, ecco anche questa
http://burro-e-miele.blogspot.in/2016/01/discussioni-sulla-tradizione-la.html
Il famoso contributo “spintaneo” 🙂 ma il tuo post è troppo bello per non condividerlo in questa settimana. Grazie ancora.
Ricetta perfetta ed introduzione che ti fa sognare ad occhi aperti: grazie Tamara!
Che bellissimo articolo. Erano giorni che tenevo aperta questa pagina sul pc per aspettare il tempo di leggermelo per bene e godermelo tutto.
Che grande cultura e accuratezza.
Un articolo così interessante e affascinante.
Complimenti Anna Maria Pellegrino e grazie, grazie, grazie.
Eccomi qui. Appena ho letto il tema di questa settimana mi sono entusiasmata. E’ una cucina che mi affascina da sempre e scoprirne qualcosa di più attraverso questo post è stato davvero bello. Ho così deciso di contribuire in piccolo con una ricetta che volevo provare da un po’ e che solo questa occasione mi ha convinta, finalmente, a farlo 🙂 I latkes di patate di Yotam Ottolenghi
http://www.fairieskitchen.com/2016/01/latkes-di-patate-potatoes-latkes.html
Oggi vi lascio un dolcetto che non conoscevo e anche una storia che non conoscevo, ammetto la mia totale ignoranza sulla cultura ebraica che più leggo e più mi affascina, le orecchie di haman…saluti
http://unpezzodellamiamaremma.com/le-orecchie-di-haman-per-purim/
Cara Anna Maria, ho mantenuto la mia promessa a metà.
Ho preparato qualcosa ma non è la Challah che avevo in mente di fare.
Forse non sono ancora pronta, non è facile assimilare d’un botto le tradizioni così particolari di questo popolo.
Ho preferito iniziare dal basso, da qualcosa che sa quasi di penitenza, per poi arrivare, un domani, più in alto, forse magari alla qedushah … e festeggiare con una sontuosa challah 🙂
Ecco allora le bisse veneziane:
http://www.riodeipensieri.it/2014/04/bisse-veneziane.html