Il riciclo è un’arte antica.
Nel passato non si buttava via nulla ma si cercava di dargli nuova vita. Questo valeva per gli oggetti di uso comune ma ancor di più per il cibo. Essendo un bene scarso, quando c’era si consumava fino alla fine trovando sempre modi diversi di impiegarlo. In questo articolo prenderemo spunto dalla tradizione toscana per capire come usare il pane raffermo per realizzare ricette gustose, economiche e molto equilibrate.
I valori nutrizionali dei piatti che vedremo insieme rientrano nei parametri della dieta mediterranea, valutata dall’OMS come la migliore di tutte dal punto di vista della salute.
Ricette per riciclare il pane toscano
Nelle case coloniche sparse per la Toscana il pane si faceva una volta alla settimana, in grandi pagnotte dette filoni per la loro forma allungata. Veniva preparato nella madia, una credenza apposita, con la parte superiore ribaltabile in cui formare e far riposare il pane durante la lunga lievitazione.
Essendo un pane preparato con lievito madre e caratterizzato da una crosta spessa e croccante aveva una durata piuttosto lunga. Arrivava comunque il momento in cui si seccava. Grazie all’inventiva delle massaie però non si sprecava: colazione con pane e latte, fette di pane fritto, dolci, polpette di pane erano parte dell’alimentazione quotidiana.
Pane raffermo
Ci sono quattro ricette che sono l’emblema dell’attitudine a non sprecare risorse dei contadini toscani, ancora oggi cucinate nelle famiglie e reinterpretate anche da grandi chef, piatti completi che saziavano un’intera famiglia. Due ricette tipicamente invernali e due tipicamente estive.
La stagione fredda è il momento in cui tutti noi amiamo il comfort food. A maggior ragione nel passato quando in mancanza del riscaldamento, una bella zuppa o una minestra fumante ritemprava dopo una giornata tra i campi. Generalmente erano piatti completi in cui la quota dei carboidrati era coperta dal pane secco. Nacquero così due fra le più famose zuppe toscane: la ribollita e la pappa al pomodoro.
Anche in estate la necessità di sfamare con poco non cambiava; cambiando la stagionalità si modificavano gli ingredienti: sedani, cipolle e pomodori diventavano il companatico del pane. Ebbero così origine la panzanella e l’acquacotta.
La Ribollita
Questa è la zuppa simbolo della Toscana in tutto il mondo. Il nome con cui la conosciamo è relativamente recente; anche l’Artusi la chiamava zuppa toscana di magro. La sua esistenza è documentata dal ‘300 in poi. Anche alla corte di Cosimo I de’ Medici si faceva una zuppa con alcuni degli ingredienti dell’attuale ribollita: cavolo nero e pane.
Le contadine preparavano generalmente questa zuppa per il venerdì, facendone in tali quantità che ri-bollendola durava per parecchi giorni. È un piatto invernale perché uno dei suoi componenti principali, il cavolo nero, deve aver preso la ghiacciata, ossia deve aver subìto almeno una gelata invernale con l’effetto di rendere le sue foglie più tenere. Gli altri ingredienti che non possono mancare e che si ritrovano in tutte le versioni sono i fagioli cannellini, il timo selvatico (il pepolino) e ovviamente il pane sciocco raffermo.
La pappa al pomodoro
Questa pietanza semisolida ha origini incerte. Probabilmente nasce durante il 1800 dopo che il pomodoro, a lungo considerato tossico, venne sdoganato. Non viene citata però nemmeno da Pellegrino Artusi nel suo “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, segno che il suo uso era ancora confinato nelle cucine popolari.
La prima attestazione è del 1907: Vamba la cita nel Giornalino di Gian Burrasca come piatto distribuito nel collegio dove viene mandato per punizione il protagonista. Ottiene fama su tutto il territorio nazionale molti anni dopo, grazie allo sceneggiato del 1965 tratto da questo libro con Rita Pavone. La ricetta unisce pochi ingredienti: pomodoro (fresco o di barattolo) aglio, acqua e ovviamente il pane secco di qualche giorno.
Pappa al pomodoro credit Sara Cerreti
L’acquacotta
Una ricetta la cui origine è contesa tra il Casentino, la ValdiChiana, la Maremma Grossetana e quella Laziale. La leggenda narra che sia nata dalla “minestra con i sassi” che un viandante cominciò a cucinare, e a cui diverse persone aggiunsero ciò che avevano a disposizione. Leggenda che definisce un tratto essenziale dell’acquacotta: viene fatta con quello che c’è in casa o con le erbe che si trovano nei campi.
Quello che è certo è che è stato il piatto base dei lavoratori più umili di queste zone: spaccalegna, carbonai e pastori. La versione più famosa, quella della maremma grossetana, coincide con il lavoro dei butteri, i cowboy nostrani, che a seguito delle mandrie, mangiavano con quel poco che trovavano sul cammino; acqua di sorgente, cipolle, qualche pomodoro, erbe spontanee, pane raffermo e se c’erano, un uovo e un pò di formaggio.
La Panzanella
Potremmo definirla la versione “estiva” della pappa al pomodoro. Anche questo è un piatto realizzato con il pane raffermo e le cosiddette “verdure sull’uscio”, quelle cioè che si trovavano nell’orto di casa o nei campi. È probabile che la panzanella sia nata dal bisogno di dover sfamare tante bocche con poche risorse. Un piatto nato e tramandato tra le mura domestiche dunque, cosa che spiegherebbe anche la mancanza di una vera e propria ricetta ufficiale.
Un piatto citato nelle opere del Boccaccio e del Bronzino, che la nomina in un poemetto del XIV secolo. Anche l’origine del suo nome risente di questa incertezza: c’è chi sostiene sia la sintesi di “pane” e “zanella”, termine dialettale che indica la zuppiera, e chi invece ipotizza un legame con “panzana”, che deriva da “pappa”. La sua versione più tipica, quella dell’area fiorentina, è realizzata con pane raffermo, cipolla, cetrioli e pomodori del tipo costoluto fiorentino. Ogni famiglia ha la propria e questa la mia ricetta!
Il pane raffermo e l’economia circolare
In un’epoca di grande spreco (nel 2021 la Coldiretti valutava in 4 milioni di tonnellate il cibo buttato in Italia) occorre andare verso un’economia circolare in cui sprecare meno risorse possibili sfruttando al massimo quelle già esistenti.
Se molte aziende trasformano il pane raffermo in pan grattato, altre, più innovative, lo trasformano in birra. Questo tipo di produzione ha origine in Belgio e si è diffuso in tutta Europa fino ad arrivare in Italia. In Toscana ad esempio da Coop Firenze ( Coop.fi) ha iniziato un progetto simile con il consorzio del Pane del Mugello.
Il consorzio del Pane del Mugello ha cominciato a ragionare in ottica di economia circolare per cercare di evitare la distruzione dell’invenduto. Inizialmente il loro pane raffermo veniva solo trasformato in pangrattato. Quattro anni fa la svolta: una parte dei resi sono stati consegnati ad alcuni birrifici della zona che hanno formulato una ricetta ispirata dai birrai Babilonesi. In questa formula il pane va a sostituire circa il 30% del malto, cioè circa mezza fetta di pane a bottiglia.
La birra così creata ha un basso grado alcolico, un sapore chiaro, poco amara e con una nota acidula. In futuro Il Consorzio e Coop.fi hanno in progetto di aggiungere a questo modello virtuoso torte, crostatine e snack, con l’obiettivo di recuperare al massimo il Pane del Mugello rimasto sugli scaffali.
Il pane “si trasforma” anche in Piemonte con “Biova Project”, startup innovativa che ricava birra e snack dal pane invenduto.
Il primo luogo di riciclo è la cucina di casa. Documentandomi per questo articolo ho scovato un libro molto interessante che porta la filosofia del riuso domestico del pane ad alti livelli.
Il libro, scritto da Maria Pia Calori, si intitola “Briciole di pane. Il buon pane toscano. Dall’antipasto al dolce l’arte di cucinarlo e riciclarlo”. Sarà una delle mie prossime letture, se continuerete a seguirmi nel viaggio del riuso del pane ve ne parlerò più nel dettaglio.
Un articolo davvero interessante! In una società con un enorme spreco di risorse è fondamentale ritornare ad alcune usanze, come quella di preparare piatti che permettano di riciclare il pane e insegnare questo alle generazioni future!
Io sono un innamorata della Toscana e dei suoi piatti
Questi che tu elenchi saranno anche un recupero ma sono davvero stratosferichi e buonissimi solo a leggere il tuo fantastico articolo viene fame
Bravissima Sara
Hai colto nel profondo del cuore di chi ama non sprecare…tipo me
Che meraviglia Sara, io aggiungerei anche un dolce che da noi ha un nome poco elegante ma è tanto buonoooooo!