Settimana della Cucina del Mare
Ambasciatore Fabio Campetti per il Calendario del Cibo Italiano- Italian Food Calendar
Prima di addentrarci negli aspetti di storia, tradizioni e gastronomia della Cucina del Mare, occorre tenere ben presente che il mare occupa in spazio circa il 70% della superficie del pianeta. Per un paese come l’Italia, penisola lunga e stretta con circa 7500 km di costa in mezzo al Mediterraneo, il mare è tuttora la più grande risorsa: da un punto di vista ambientale e climatico, ma anche per il nostro sostentamento, il mare rimane un bene prezioso e da salvaguardare, poiché dalla sua salute dipende il nostro futuro.
Procacciarsi cibo in mare ha sempre rappresentato un pericolo, soprattutto in tempi lontani quando le imbarcazioni e le attrezzature non erano molto sofisticate. Si rischiava la vita andando per mare e quando il pescatore rientrava in porto si diceva che era giunto “a salvamento”.
Ne “Il vecchio e il mare”, bellissimo romanzo di Ernest Hemingway, lo scrittore riesce a portarci nell’atmosfera della lotta del pescatore solitario nella cattura dell’enorme pesce spada, che poteva durare giorni di fatiche e rischi estremi, ma sempre nel rispetto dell’uomo per la sua vittima, necessaria alla propria sopravvivenza.
Da quando l’uomo ha iniziato a cibarsi di pesce? Da sempre, possiamo tranquillamente affermare. I graffiti e i ritrovamenti di resti a base di pesce che risalgono al Paleolitico ce lo confermano, così come le tante testimonianze che ci arrivano dal passato e che riguardano molteplici aspetti della vita sociale dei popoli.
Il pesce si consumava in epoca romana, come testimoniano le tante raffigurazioni rivenute nelle ville pompeiane, dove famiglie facoltose avevano costruito addirittura costosissime piscine con acqua di mare, talvolta comunicanti con il mare stesso per potervi allevare specie come le murene, le orate, le anguille, le triglie, i molluschi e crostacei di ogni tipo… dei veri e propri buongustai i ricchi Romani! A loro, ad esempio, si deve il garum, famosa salsa ottenuta dalla fermentazione sotto sale degli scarti di pesce azzurro, usata anche come medicamento per guarire ustioni e ulcere.
Il pesce era cibo per tutti i popoli di naviganti quali erano i Fenici, i Greci, gli Egizi, gli Etruschi e i Romani, che lo consumavano abitualmente; ma essendo uno tra gli tra gli alimenti più deperibili, si rese necessario, già allora, sviluppare tecniche di conservazione adeguate, soprattutto quando la pesca era particolarmente generosa, non potendo consumare tutto in tempi brevi.
Nella comunità cristiana il pesce, l’ixthus, era considerato frutto della provvidenza e divenne il simbolo di riconoscimento dei primi Cristiani, che addirittura vollero vedere nelle lettere del nome l’acronimo della loro fede: Iesus Christos theou uios (o) Soter, Gesu Cristo, Figlio di Dio, il Salvatore.
Cibo penitenziale per definizione, di pesce era consentito cibarsi nei giorni di astinenza dalle carni. Nel Medioevo se ne faceva un uso frequente soprattutto nelle comunità religiose come i monasteri, divenendo così una via di salvezza spirituale.
Parlare di Cucina del Mare significa innanzitutto iniziare a fare elenco dei suoi abitanti, non diciamo pesci per non offendere molluschi e crostacei, anche se nell’uso comune con il termine pesce si è soliti comprendere un po’ tutte le creature che vengono dal mare.
Qui il gioco si fa complesso, perché le specie esistenti nei mari sono tantissime e, pur limitandoci a quelle presenti nel Mediterraneo, si tratta di un numero che si aggira intorno alle 17.000. E’ ovvio che a noi interessa soltanto il pescato che si trova sui banchi dei diversi mercati nazionali, peraltro già un bel numero di specie, materia prima di meravigliosi piatti tradizionali regionali. Se poi consideriamo il fatto, tipico del nostro Paese, che il medesimo pesce viene chiamato in modi del tutto diversi da regione a regione, districarsi tra le pagine dei vari ricettari non è cosa facile.
Il bello dell’Italia, però, è proprio questo. E così la spigola diventa loasso in Liguria, varolo in Veneto, branzin in Friuli, spinola in Abruzzo e Campania, aranassa in Sardegna, lupasso in Lazio; mentre il muggine dorato diventa gaggia d’oro in Toscana, daurin in Liguria, dotregan in Veneto, vranzolo in Abruzzo, cefalu lustro in Calabria; l’acciuga di Toscana, Marche e Abruzzo, diventa sardon in Veneto e Friuli, amarou in Liguria… e di questo passo potremmo continuare all’infinito.
Si deve poi considerare che, anche dello stesso piatto, da regione a regione – molto spesso anche da città a città all’interno della stessa regione – la ricetta ha le sue varianti e la sua ragion d’essere. I motivi sono più o meno gli stessi che fanno variare la ricetta di un piatto di terra: il cambiare delle stagioni, le tradizioni familiari e, parlando nello specifico di pesce, la variabile fondamentale è data da ciò che resta nella rete del pescatore.
A questo proposito vengono in mente tutte le zuppe di pesce, come i cacciucchi toscani: sì, al plurale, perché esistono sia il livornese che il viareggino e la disputa tra i due è tuttora aperta., Differiscono l’uno dall’altro proprio per la tipologia di pescato impiegato; è d’obbligo per entrambi che si usino varietà di pesce liscoso come scorfani, tracine, gallinelle, pesci da taglio come palombo, coda di rospo, grongo e murena, ma nel primo si aggiungono polpi, seppie e cicale, mentre nel secondo si trovano gamberoni e cozze. Dal Caldàro dell’Argentario in poi, andando a giro per le coste italiane, troviamo la Cassòla di Sardegna dove si usa l’aragosta, il Ciuppìn fatto con solo pesce bianco misto, la Buridda dove nel soffritto iniziale, si aggiunge l’acciuga e il Bagnun d’anciöe, vera e propria zuppa d’acciughe ligure; e ancora, la Minestra con l’arzilla laziale ovvero con la razza chiodata, la Zuppa alla brindisina ricca di molluschi, la Passata di ceci con scampi e vongole pugliese, e poi i gustosissimi Brodetti della costa adriatica, da Grado passando per Venezia e Chioggia, dove prende il nome di Broeto. In molte di queste ricette si è soliti utilizzare anche gli scarti dei pesci dopo averli sfilettati, assieme agli odori per ottenere un brodo di pesce da unire alla zuppa. Una costante quasi per tutte le zuppe è il pane, tostato e magari passato con aglio, su cui si versa la zuppa. Pane che sulle barche dei pescatori era pan secco o gallette, o bussolà salati nelle Venezie, più garantiti contro l’ammuffimento durante le lunghe battute di pesca.
Una specie di pesce che incappa nelle reti dei pescatori di tutta la penisola è il pesce azzurro: acciuga, sardina, sgombro, suro o sugarello, palamita, aguglia, tombarello, i meno noti alaccia, spratto, costardella, sono tutte specie appartenenti a questa vastissima categoria. In passato fu ingiustamente chiamato “pesce povero”, perché meno richiesto dal mercato; in anni più recenti è invece stato ampiamente rivalutato, non fosse altro per l‘elevata quantità di omega 3, ma sicuramente anche per il prezzo di mercato, contenuto rispetto ad altre specie. Il pesce azzurro è stato, in molte occasioni, anche promosso per orientare le scelte del consumatore verso un pesce buono e sano dei nostri mari.
Nella tradizione gastronomica nazionale il pesce azzurro è presente un po’ dappertutto ed è praticamente impossibile citare in maniera esaustiva tutte le ricette in cui compare; possiamo solo ricordare quelle che ricorrono più frequentemente nei ricettari. Tra gli antipasti ricordiamo le sfiziose Alici marinate al limone, l’Aguglia o lo Sgombro in scapece e le Sarde in saòr di origine veneta: saporite ricette nelle quali i filetti infarinati si friggono nell’olio e poi si fanno marinare con aceto, olio, erbe aromatiche e aglio, da riporre in frigorifero e consumare dopo un paio di giorni. Ricordiamo anche le frittelle di Bianchetti o Gianchetti, che sono i piccoli di sardine e alici, o anche i crudi come il carpaccio di Palamita. Nei primi piatti eccelle la siciliana Pasta con le Sarde, un agrodolce con uvetta, pinoli, finocchietto selvatico e zafferano; gli spaghetti con Acciughe fresche, pomodoro e aglio; i paccheri con sugo di Sugarello in bianco. Nei secondi troviamo piatti come le Alacce, ma anche Acciughe e Sarde in tortiera, dove si aggiunge anche formaggio pecorino, Sarde e Acciughe fritte in panatura aromatica, e, sempre di tradizione siciliana, le Sarde a beccafico, filetti ripieni di pangrattato, uvette, pinoli, acciughe, con foglie di alloro, irrorati di limone e zucchero prima di passare in forno.
Anche l’aringa è un pesce azzurro, frutto però della pesca nei mari dell’Europa del Nord: raramente la si trova fresca, quasi sempre affumicata. Prima di condirla è necessario tenerla un giorno immersa nel latte, cambiandolo più volte per togliere il sale in eccesso e soprattutto il sentore di affumicato.
Come l’aringa, anche il Merluzzo è un pesce dei mari del Nord, entrato a far parte della gastronomia italiana oramai da diversi secoli, reperibile sia fresco, sia nelle modalità di conservazione per essiccazione e salatura, ovvero Stoccafisso e Baccalà. Lo troviamo in note ricette regionali. Per ambedue le tipologie, la modalità di cottura più in uso è in umido, perché con opportune varianti riesce ad esprimere al meglio le sue qualità. Così è per il Baccalà alla vicentina, che a dispetto del nome si realizza per tradizione con lo stoccafisso, cotto in bianco nel latte con l’aggiunta di sarde sotto sale e formaggio grana; o per lo Stoccafisso all’anconetana dove si utilizzano pomodori e patate, o per quello “accomodato” alla Genovese dove, oltre a patate e pomodori, compaiono pinoli e olive taggiasche. Tra i Baccalà sempre in umido troviamo anche quello alla livornese, con pomodori maturi, rosmarino, aglio e prezzemolo; o alla messinese, sempre rosso ma con l’aggiunta di olive, uvetta pinoli e capperi, immancabile sulla tavola alla vigilia di Natale sulle tavole dei romani. Ghiotta la versione del baccalà al forno con le patate, precedentemente cotto con cipolla e alloro, così come il baccalà passato in pastella di uovo, farina e vino e poi fritto. Ma il Baccalà è semplicemente buono come proposto in molte trattorie popolari, alla griglia o bollito e accompagnato da ceci lessi e condito con olio, sale e pepe, mentre nelle trattorie venete si è soliti vederlo accompagnato con polenta.
Il Tonno è invece un capitolo a parte, con la sua mole che lo annovera tra i grandi pesci da trancio, e perché alle sue carni pregiate l’uomo ha iniziato ad interessarsi già in epoca preistorica. Nel IV secolo a. C. il poeta e gastronomo siciliano Archestrato da Gela dedica al tonno endecasillabi nei quali indica le migliori zone di pesca:
Alla sacra d’intorno e ampia Samo
molto grosso vedrai pescarsi il tonno,
che Orcino alcuni, ed altri chiaman Ceto.
Convien di questo a te comprar se a’ numi
cena imbandissi, e ti convien comprarlo
senza tardar, senza far lite al prezzo.
In Caristo e Bisanzio è poi gustoso;
molto miglior di questo è quel che nutre
nell’isola famosa dei Sicani
di Tindari la spiaggia, e Cefalesi,
ma se d’Italia sopra il santo suolo
in Ipponio verrai dove corona
hanno gli Abruzzi di mar, colà vedrai
i tonni più eccellenti, che la palma
portan, vincendo di gran lunga gli altri.
Quindi tutto il Mediterraneo, dall’Adriatico fin giù alla Sicilia e nel Mare Egeo fino al Bosforo; ci racconta, poi, come arrosto è il modo migliore per gustarlo:
… tu quella in pezzi
tagliata, arrostisci ben, di fino sale
spargendola soltanto d’olio, ungendo.
poscia i pezzi ne mangia e caldi e intrisi
in forte salsa, e se ti vien la voglia
asciutti di mangiarli, ancora gustosi
questi ritrovi:per sapor, per vista
degli immortali numi inver son degni;
ma perdono tosto il pregio lor, se aceto
spargendoli li rechi alla tua mensa.
Il tonno, per le sue dimensioni eccezionali, iniziò ad essere conservato sotto sale ancor prima del IV sec a.C., come ci racconta lo stesso Archestrato.
Nei ricettari storici lo troviamo sin dalla metà del XV secolo nel primo libro di gastronomia a firma dell’intellettuale gourmet Bartolomeo Sacchi, detto il Platina, bibliotecario vaticano sotto papa Sisto IV della Rovere, dove ci descrive come del tonno si mangia tutto dal capo all’addome. Ma già prima di lui Martino da Como, “già cuoco del patriarca di Aquileia”, ne aveva parlato nel manoscritto “Libro de arte coquinaria” e dal quale il Platina aveva attinto per la sua opera. Nel 1525 il napoletano Roberto da Nola, “cuoco del fu Serenissimo Signore Re di Napoli Don Ferdinando”, nel suo Libro de cozina, parla in varie ricette di “tonina”, ovvero il tonno conservato sotto sale. Mezzo secolo più tardi Bartolomeo Scappi, cuoco personale di papa Pio V ne “L’Opera dell’Arte del Ben Cucinare” indica come cuocere il tonno in vari modi, come cuocere la testa, come farne polpette e come cuocerlo in graticola, e pure come farne un’insalata con la parte più pregiata, il tarantello, ossia la ventresca, tagliata a bocconi quadrati e condita con olio, aceto, mosto cotto. Ma non mancava nemmeno alla tavola del Cardinal Farnese e, nella metà del XVII secolo, alla corte dei Gonzaga di Mantova nelle ricette di Bartolomeo Stefani: in insalata di cavoli o “avvolto in carta e cotto sotto la bragie servito con succo di limone e pepe ammaccato, che riesce squisito…” , praticamente una cottura al cartoccio d’altri tempi. E poi ne fa stufati cotti in vino bianco e salami con polpe di altri pesci, e non nasconde la sua preferenza per quello conservato sotto sale, piuttosto che per il fresco, perché più adatto a molteplici preparazioni.
Il Tonno finì anche sott’olio, ben pressato in barili, intriso di sale e coperto d’olio. Ne parla in questi termini il conte Gilbert Chabrol de Volvic, prefetto napoleonico all’inizio del 1800; così preparato prendeva il nome di “scabeccio”, antenato del nostro attuale scapece, e poco oltre la metà del medesimo secolo il tonno finì per la prima volta in lattina in Sardegna, dove si iniziò poi questa lavorazione.
Raccontando qualche traccia di storia, abbiamo in fondo già accennato ad alcune ricette tutt’ora in uso nella nostra cucina, come il tonno alla brace o in insalata. L’Artusi, il cui libro è una sorta di bibbia in cucina, ci suggerisce “Tonno fresco coi piselli”, tagliato a fette grosse di mezzo dito; ma se facciamo il giro d’Italia troviamo tante preparazioni che celebrano al meglio questo meraviglioso pesce. Tonno con la cipuddata alla siciliana, ovvero tonno a fette in padella con cipolle, pepe e menta; tunnu alla calavrisi, in padella con cipolla, acciughe, pancetta, pomodori e peperoncino calabrese; tonno briaco alla livornese, con cipollina, aglio e sfumato con il Chianti rosso, o quello briaco alla marchigiana dove il Marsala prende il posto del Chianti; anche il saporito tonno alla cosentina, con pomodori, peperoncino, alloro e timo, capperi e cetriolini; o l’elegante tonno a fette, unte e salate, cotte alla griglia e condite con il salmoriglio, una salsa di origine siciliana composta da olio, acqua, limone, prezzemolo, origano, aglio, sale e pepe e leggermente scaldata.
Quest’ultima è una ricetta tipica anche per il Pesce Spada, altro pesce di grossa taglia, più delicato nel gusto rispetto al tonno, e le cui preparazioni tipiche non si discostano di molto rispetto a quelle del tonno. Una fra le tante: il Pesce spada alla ghiotta, prima fritto in padella a fette e poi immerso in una salsa di pomodoro con l’aggiunta di olive, capperi e uvetta.
Quando si dice “pesce di scoglio” si immagina quasi sempre la cottura in forno o, in qualche caso, alla griglia, se si dispone di uno spazio esterno e i vicini son ben tolleranti.
Cuocere il pesce al forno significa arrosto, aggiungendo erbe, odori o verdure; nella cottura al cartoccio il pesce viene racchiuso in un foglio di carta o di alluminio e prende il sapore da una qualche salsa liquida e aromatica che va aggiunta prima di chiudere l’involucro. Cuocere il pesce in crosta di sale, invece, è semplice ma gustosissimo: in mezzo a due strati di sale o, in alternativa, anche tra due strati di meringa salata, o su letto di patate o zucchine o foglie di limone. Queste sono, più o meno, le sorti che toccano a dentice, sarago, orata, spigola, parago, ombrina, ricciola, coda di rospo, scorfano, cernia quando finiscono in forno. In verità tutto questo pescato risulta squisito anche semplicemente lessato e condito con olio, limone e qualche erba aromatica.
Così tanto per citare qualche ricetta, l’Orata alla pugliese, semplicemente cotta in forno fra strati di patate a fette con trito di aglio, prezzemolo e pecorino, la Cernia alla griglia cotta sulla brace dopo lunga marinatura dei tranci in olio, aglio, vino bianco, rosmarino, sale e pepe, il Dentice coi porri, cotto in forno su letto di porri, carote e prezzemolo.
Per pesci di sabbia come Sogliole, Rombi e Razze, che per la loro particolare conformazione devono essere prima spellati e a volte anche sfilettati, ricordiamo il Rombo all’isolana, cotto in forno già spellato su letto di patate e cipolla affettate e cosparso di polpa di pomodoro; la Razza allo specchio, che dopo la lessatura viene lasciata raffreddare nel suo brodo, spellata, sfilettata e riposta in frigorifero con il sedano e le carote utilizzati per il brodo, tagliati e coperti dal brodo stesso che diventerà “specchio” di gelatina; o la più famosa Sogliola alla mugnaia, cotta in padella nel burro e limone e spolverata di prezzemolo.
Un capitolo a parte è doveroso farlo per il Muggine, chiamato anche Cefalo, perché dotato di testa di grandi dimensioni. Il nostro povero muggine gode spesso di una cattiva reputazione in quanto, riuscendo a vivere in ambienti climaticamente molto diversi, dal mare aperto alla fascia costiera, si spinge spesso verso la foce dei fiumi e nei porti, ovvero in acque poco pulite. Allora accade che gli esemplari pescati in tali zone restituiscano poi in cottura sapori poco gradevoli. Per contro, gli esemplari di mare aperto come il Muggine dorato, o Gaggia d’oro come viene chiamato in Toscana, nonostante mantenga un prezzo di mercato piuttosto contenuto per i motivi già detti, sapientemente cucinato può confondersi con parenti più nobili. Ma soprattutto è dal Muggine che otteniamo la Bottarga. Nel periodo estivo, quando il Cefalo raggiunge lo sviluppo adeguato, viene pescato e selezionato: le sacche ovariche estratte con delicatezza e messe sotto sale, pressate e lasciate essiccare. Il risultato è un prodotto pregiato e dal delicato sapore, che può essere gustato condito con olio e qualche goccia di limone, o tagliato a fettine sottili su primi di pesce, o sugli spaghetti alle vongole veraci, come ce li servono in Sardegna. Qui, la zona del Sinis è famosa per la produzione di bottarga di Cefalo, così come ad Orbetello, in provincia di Grosseto, Toscana.
Intramontabili, anche se adatte a stomaci forti, le fritture uniscono decisamente l’Italia a tavola e non esiste regione, città o porto di mare dove non siano una consuetudine. La classica frittura di paranza, che si fa con i pesci misti di piccola taglia, come naselli, triglie, ghiozzi, soglioline, saraghi, acciughe, rimasti nelle reti e diversamente poco utilizzabili per la loro dimensione, è sempre molto sfiziosa. Spesso, per renderla ancor più varia e gustosa, si uniscono gamberetti, calamari, totani, piccole seppie. E poi sarde e alici fritte, in ogni regione con panature diverse, delle quali meritano di essere ricordate le sarde fritte alla palermitana, impanate nella semola aromatizzata con prezzemolo, aglio e scorza di limone, e le alici fritte con cipollata agrodolce, ovvero le alici impanate nella semola e fritte accompagnate da una cipollata in agrodolce con uvetta, pinoli tostati, menta e cannella.
A conclusione di questa ricognizione gastronomica non possono mancare molluschi e crostacei, protagonisti di piatti eccellenti per la loro dolcezza.
Meritano di essere ricordati i molluschi in conchiglia che si trovano sul mercato: cozze, vongole, lupini, fasolari, cannolicchi, capesante, tartufi, ma anche cefalopodi come polpo, moscardini, calamaro, totani, seppie, o crostacei come aragoste, astici, gamberi, mazzancolle, cicale, scampi, granchi, granseole. Si tratta di specie e varietà con le quali si elaborano numerosi e gustosi piatti tradizionali. Nonostante sia appassionato della cucina di mare, personalmente non riuscirò mai a mettere in pentola astici, aragoste, granchi e granseole vive… E’ comune il pensiero che i crostacei non sentano dolore calati in acqua bollente, a causa del loro rudimentale sistema nervoso, ma autorevoli ricerche scientifiche ci raccontano invece l’esatto contrario. Peraltro non si migliora assolutamente l’aspetto gustativo, e allora perché continuare con una pratica così crudele? Nonostante siamo certi che a nessun animale piaccia essere ucciso, evitare almeno le pratiche crudeli credo sia il minimo.
In attesa di decidere se diventare vegetariani o meno, torniamo serenamente a tavola con delle mazzancolle rosolate in padella con vino bianco, o con degli ottimi scampi alla griglia, o un bel risotto alle seppie con il nero, che deve la sua dolcezza particolare all’utilizzo di quel liquido scuro che questi molluschi possiedono e spruzzano nell’acqua per sfuggire ai predatori. Impossibile non ricordare i calamari ripieni, con ricette dalle infinite varianti, o i moscardini e polpi “affogati” in pomodoro, aglio, peperoncino e prezzemolo, o ancora le seppie in zimino, un umido di tradizione ligure e toscana, dove le seppie si uniscono a bietole o spinaci in salsa di pomodoro.
Per gustare invece i molluschi in conchiglia, non c’è miglior modo che farli aprire a gran fuoco,, coperti e con poco condimento, come per le cozze alla marinara e per l’impepata di cozze; il liquido che rilasciano in cottura diventa prezioso ingrediente per risotti e per completare la cottura di spaghetti ai frutti di mare.
In Italia, da molti anni riscuote successo anche il pesce crudo anche se, in verità, è sempre stato presente nella tradizione gastronomica nazionale. Le sarde e le alici ne sono un esempio, marinate nel succo di limone e poi condite con olio, sale e pepe; così come i carpacci, proposti ormai da moltissimi ristoranti e che indubbiamente sono uno dei migliori modi per degustare il sapore vero del pesce. Ricordiamo in proposito, per un consumo domestico consapevole, che la marinatura non è una cottura, e che tutto il pesce che vogliamo degustare a crudo deve prima essere congelato per scongiurare il pericolo dell’ anisakis: è sufficiente un passaggio nel freezer di casa a -18° per una durata di 96 ore, a garantire sicurezza alimentare dalle contaminazioni.
Infine torniamo un attimo a riflettere sull’argomento di partenza, quello della salute del mare. La pesca intensiva che si è praticata troppo a lungo mette a rischio in modo sempre più serio la sopravvivenza di molte specie di pesce. La natura, in generale, ha i suoi tempi, che sono quelli normali della vita e che non devono essere assoggettati a quelli del mercato. Così è anche il mare, in particolare per alcuni pesci su cui incombe il pericolo di estinzione; l’unico modo che rimane per salvarli è smettere di comprarli. Ogni piccolo gesto come questo, praticato consapevolmente, può ancora dare al mare il tempo di rigenerarsi, così che possa continuare ad essere, per le future generazioni, il grande sostegno che è sempre stato.
Sono parecchie le preziose specie su cui grava il rischio d’estinzione; in particolare il Pesce spada, il Salmone atlantico e quello del Pacifico, il Tonno rosso e gli Squali come il Palombo, lo Smeriglio, lo Spinarolo, lo Squalo volpe, la Verdesca, la cui estinzione provocherebbe danni incalcolabili all’ecosistema marino.
Vorrei concludere con un brano dalla premessa del libro “Guarda che mare – come salvare una risorsa” di Silvio Greco e Cinzia Scaffidi:
“Andate a guardarlo. Di giorno o di notte, come preferite; lui sarà là, con il suo corpo gigantesco che dondola e regala energia alla mente e al cuore di chi lo sta a guardare. Sarà là, come una promessa. Una promessa di eternità che può mantenere solo con l’aiuto di tutti”.
Bibliografia:
Guarda che Mare – Silvio Greco e Cinzia Scaffidi – Slow Food Editore, 2007
Il Pesce, scuola di cucina Slow Food – AA.VV. – Giunti, Slow Food Editore, 2013
Il Pesce Dimenticato – Unioncamere Toscana e Regione Toscana, 2013
Le magie del Tonno – Silvio Torre – Marsilio Editore, 1999
Il libro della vera cucina marinara – Paolo Petroni – Il Centauro 1998
La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene – Pellegrino Artusi – Giunti 1984
Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway – Bibliotex, 2002
Dal Web
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/arte-e-cibo/Il-Pesce.html
http://www.biologiamarina.eu/Allevamento_Pesce_Romani.html
http://www.colapisci.it/PescItalia/Quadro/quadrotuttipesci.htm
Fonti Iconografiche.
Mosaico di Pompei http://www.famedisud.it/lo-guarracino-una-guerra-di-pesci-nel-mare-di-napoli-il-corto-di-michelangelo-fornaro/
Graffiti Grotta di Levanzo http://www.casuzze.it/grotta-del-genovese–isola-di-levanzo.html
Simbologia Cristiana http://www.123rf.com/photo_5017087_ichthys–religious-symbolic-fish-of-christianity-catholic-symbol.html
Bottarga di Muggine http://www.leviedellasardegna.eu/cabras.html
Cattura dei Tonni https://www.google.it/imgres?imgurl=http://desk.unita.it/cgi-bin/showimg2.cgi%3Ffile%3DF_ECO_L2_0649/00000018/0000112F.e42063ec.jpg%26t%3Dbig&imgrefurl=http://archiviofoto.unita.it/index.php?f2=recordid&cod=1023&codset=ECO&pagina=24&h=683&w=900&tbnid=s64exjHnEVGM3M&tbnh=196&tbnw=258&usg=__u2vEqeY1M9DusBvKgqTSXuhOeok=&docid=QosKzQ0I9j2ycM
Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, Polpo alla Marinara alla Maniera di Livorno
Lucia Melchiorre, Spaghetti vongole, lupini e crema fresca di zucchine
Serena Bringheli, Carpaccio di polpo imbottigliato
Valentina de Felice, Spaghetti alla Gigino,
Giuliana Fabris, Insolito di mare
Daniela Ceravolo, Linguine con razza, datterini gialli e olive nere
Fabio Campetti, Risotto ai Sugarelli, fragole e menta
Donatella Bartolomei, Furbi co’l’abbiti
Aylin Caiola, Pasta con merluzzo
Alice Del Re, Cozze Gratinate
Tiziana Bontempi, Spaghetti con Cernia Dorata in Salsa di Peperoni e Zucchine
Giulia Robert, Sgombro in Verde
Splendido, splendido articolo! Un mini compendio con tante informazioni e suggestioni…grande Fabio! 🙂
Partecipo anche io volentieri a questa settimana, con una ricetta semplice, che di pesce ne so poco e non mi arrischio 🙂 http://panelibrienuvole.com/2016/06/27/cozze-gratinate/
Fabio davvero complimenti, hai scritto un articolo davvero bellissimo… Al di là della citazione finale che mi ha messo i brividi portandomi con la mente direttamente in riva al mare, hai davvero saputo raccontare tutto il raccontabile sulla cucina di mare del nostro Paese senza annoiare! Complimenti davvero… Onorata di esserci! 🙂
Complimenti davvero Fabio per questo articolo dettagliato, completo e ricco di contenuti non solo gastronomici.
Bellissimo articolo, complimenti!
Grazie
Tiziana
Partecipo molto volentieri a questa bella settimana con un piatto di spaghetti e cernia dorata: http://profumodibroccoli.blogspot.it/2016/06/settimana-de-la-cucina-del-mare-nel.html
Grazie
Tiziana
grande lavoro Fabio! complimenti (anch’io ho usato lo stesso mosaico per il mio articolo 🙂
Eccomi Fabio! Partecipo con piacere alla settimana della cucina di mare con uno sgombro.. in verde 🙂
http://alterkitchen.it/2016/07/02/sgombro-in-verde-aifb/