Giornata Nazionale della Porchetta
Ambasciatrice Giuliana Fabris per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Non si può parlare di Porchetta senza qualche accenno al maiale, il quale ha una bella e ricca storia da raccontare, che da sempre accompagna l’evoluzione dell’uomo.
Animale davvero provvidenziale fra tutti quelli che l’uomo è riuscito nel tempo a piegare alle proprie esigenze alimentari ed economiche, una vera ed inesauribile fonte di sostentamento, dalle eccezionali capacità di adattamento ed eccellenti doti evolutive.
La sua prima domesticazione lo vedeva allo stato brado, libero di pascolare fino a quando, in età medievale, cominciò a vivere in prossimità delle case, diventando uno dei simboli di prosperità; questo ci riporta ad una millenaria civiltà contadina, che con la carne di maiale ha costruito un’importante fonte di risorse alimentari ed ha sviluppato, nella cultura legata alla civiltà della tavola, importanti piatti e ricette legati al territorio, senza dimenticare la gran varietà di riti collegati al sacrificio dell’animale, alla conservazione e all’utilizzo delle sue carni. Ogni comunità aveva, infatti, metodi per conservare e cucinare le sue carni, con sapori della zona in cui viveva.
I maiali garantivano carne per un anno intero a tutta la famiglia.
Era una vera fortuna avere la certezza di non soffrire la fame e addirittura la possibilità di fare banchetti straordinari nei momenti di festa.
Per le classi meno abbienti, la carne di maiale, per lungo tempo, è stata l’unica di cui potevano disporre, anche se con molta parsimonia.
Il consumo di carne di maiale era anche elemento di distinzione tra poveri e ricchi: questi ultimi, infatti, si cibavano quasi esclusivamente di carne bovina e di selvaggina.
E’ soprattutto nel Medioevo, quindi, che l’apprezzamento gastronomico della carne si impone con forza, frutto di nuovi modelli culturali e di nuove forme produttive che valorizzarono appieno le attività di allevamento, la caccia e la pastorizia, tanto che nei documenti italiani dell’alto Medioevo, la foresta è misurata in maiali: quanti è capace di ingrassarne, tanto è estesa. Il maiale, dunque, resterà per lungo tempo un “valore” alimentare di prima grandezza e la principale fonte di approvvigionamento carneo a tutti i livelli sociali.
Sta di fatto che l’origine della Porchetta si perde nella notte dei tempi. Ma grazie al maiale, è una vera protagonista della tavola.
Volendo, la si può ritrovare nell’Odissea, dove ampio risalto vene dato alla figura del porcaro Eumeo, che custodisce i maiali in un recinto fatto di pietre e pali e coronato da spine, per riservarli alla mensa dei Proci: gli animali vengono presentati cotti allo spiedo, dopo essere stati squartati e cosparsi con farina di orzo.
Per gli Etruschi la carne di maiale rappresentava una prelibata leccornia, ben superiore a quella di altri animali: arrostita allo spiedo o sopra una graticola se consumata fresca, affumicata o salata quando era destinata alla conservazione.
Nell’antica Roma la si ritrova rielaborata e arricchita di inverosimili ripieni sulla tavola di Trimalcione, presentata su piatti scenografici.
Più vicino a quella che conosciamo è, invece, un altro piatto della tradizione latina, il porcellum farcilem, presente nel ricettario di Apicio che può essere preparato in due modi. Il primo, più elaborato, prevede una doppia farcitura: la “farcia tarantina” da inserire sotto pelle, a base di pepe, bacche di alloro, ruta, radice di laser, (una pianta della famiglia delle ombrellifere ormai estinta), garum di ottima qualità, vincotto ed olio; e una seconda, collocata nella cavità lasciata dalle interiora, composta di pepe pestato e in grani, ligustico (levistico), origano, un pizzico di radice di laser, cervella cotte, uova crude, semola cotta, uccellini, e, volendo, pinoli. Una volta farcito, il maialino viene legato e messo nel forno.
Anche nel trattato seicentesco di agronomia del bolognese Vincenzo Tanara, “L’economia del cittadino in villa”, vi è un riferimento alle feste popolari a base di porchette tipiche di queste terre: “Nelle provincie dell’Umbria e Marca ne compariscono su le piazze di quelle città e terre ogni mattina di domenica molti, così cotti arrosto, da vendere, con molto utile de’ poveri, quali senza far pignatta all’ora di desinare ne comprano un pezzetto e con la sua famiglia godono”.
La gloria di questo cibo è dovuta alla sua diffusione popolare: i “porchettari” gremivano le piazze nelle feste cittadine, civili e religiose, nelle ricorrenze patronali primaverili ed estive, e in tutti i grandi raduni ed assembramenti civici, e presenti in tutte le fiere e i mercati. Gli archivi storichi comunali presentano bandi per disciplinare bene lo smercio delle porchette proprio perché era uno dei cibi di strada più ricorrenti e consumati a livello popolare.
L’attività di “porchettaro”, strettamente legata in passato a quella dei “tricoli” o “salcicciari”, appare come una costante della fascia mediana dell’Italia.
Il luogo di elaborazione della ricetta vera e propria della Porchetta è a tutt’oggi incerto. Gli abitanti di Ariccia, nel Lazio, rivendicano la paternità della ricetta originaria. In Umbria si sostiene che sia nata a Norcia, famosa sin dai tempi dei Romani per l’allevamento del maiale (di qui il sostantivo “norcino”) e anche oggi Costano, una piccola frazione di Bastia Umbria (Perugia), è conosciuta un po’ ovunque per la sua inimitabile Porchetta, uno dei piatti caratteristici della cucina Umbra. I porchettai del paese si tramandano da 500 anni, ininterrottamente, questo mestiere. Nell’Alto Lazio si fa risalire al periodo Etrusco. Antichissima, pure, la tradizione della porchetta di Campli, in provincia di Teramo, in Abruzzo. I decuriones romani avevano dettato i modi dell’assaggio con un’apposita delibera. La ‘porchetta italica’, definita così dopo che alcuni resti di maiale furono rinvenuti durante gli scavi della necropoli di Campovalano, con i suoi 3 mila anni alle spalle, ha la sua storia da raccontare.
Ma cos’è la Porchetta?
Un grande arrosto, fatto con un maiale intero, svuotato dalle interiora, aromatizzato con sale, pepe, lardo, rosmarino, semi di finocchio, aglio o spezie, legato con spago e cotto nel forno o sullo spiedo, spesso in occasioni di feste popolari: questa è la divina Porchetta.
La preparazione
Esistono due tipi fondamentali di condimento, e quindi di gusto, dettati dalla tradizione. Nella Toscana meridionale, nei Castelli Romani del sud e in altre aree dell’Italia centrale, si aromatizza con il rosmarino (ramerino). Tipica è quella di Ariccia. Nella zona dei Castelli Romani e in particolare nei comuni di Ariccia, Frascati e Marino, si trovano dei locali caratteristici, chiamati “fraschette”, dove si gustano Porchetta e vino locali.
Le “fraschette”, nate presumibilmente nel Medioevo, quando i contadini delle campagne romane avevano necessità di luoghi dedicati per produrre e vendere il vino, sono un particolare tipo di locale od osteria, la cui diffusione è limitata principalmente alla zona dei Castelli Romani.
Qui nacque l’usanza, per i viticoltori del tempo, di apporre una frasca ben carica di foglie sopra l’ingresso del locale, in modo tale da indicare agli avventori che il nuovo vino era pronto da bere. Perciò le fraschette erano dei veri e propri punti di vendita e di degustazione diretta del vino prodotto in quella annata; ben presto gli abitanti più intraprendenti iniziarono ad allestire banchi vendita in prossimità di queste fraschette con generi alimentari di vario tipo, così da fornire il companatico agli avventori. Tra questi, un prodotto particolarmente diffuso era rappresentato appunto dalla Porchetta, il cui connubio con questi locali, col trascorrere dei secoli, è diventato un inscindibile legame.
Tornando alle preparazioni, nell’Alto Lazio, in Umbria e nelle Marche si aromatizza col finocchio selvatico, che le conferisce un profumo e un gusto assolutamente inconfondibili.
In Toscana è famosa la Porchetta di Monte San Savino, un piccolo borgo della Val di Chiana, e la porchetta che vi viene prodotta si differenzia leggermente da quella di Ariccia per alcune particolarità.
Per la produzione si utilizzano maiali allevati da piccoli produttori della zona, di 80-100 kg al vivo, con la giusta proporzione di grasso necessaria per la buona riuscita della porchetta.
Gli ingredienti fondamentali per la sua preparazione sono il sale, il pepe, il finocchietto selvatico, l’aglio in camicia e, sulla superficie interna dell’animale, viene distribuito il fegato tagliato in grossi pezzi, che aggiunge un sapore unico. Il tutto viene poi cucito e legato ed inserito nel forno a legna, che viene alimentato da fascine di scopa (erica), che mantengono il calore in maniera perfetta.
La cottura si protrae per 8 ore, senza che il fuoco venga mai più alimentato e al momento dell’uscita dal forno, la Porchetta avrà una temperatura al suo interno di 70°, indice di una cottura esemplare.
Per prepararla, si sceglie un suino, generalmente femmina, di un anno, del peso massimo di circa 100 chili. Una volta abbattuto e dissanguato, il maiale intero s’immerge in una caldaia d’acqua bollente per procedere alla depilazione. Quindi, accuratamente lavato, viene sistemato col dorso su un tavolo, aperto per quanto più possibile, eviscerato e disossato intervenendo per via interna, con l’asportazione degli zampetti e lasciando a posto la cotenna.
Vengono quindi aggiunti gli ingredienti e, a pioggia, si cosparge tutta la superficie della cavità interna in maniera omogenea. Gli ingredienti variano leggermente a seconda delle zone di produzione delle porchette, come detto sopra. A volte si aggiungono persino le interiora (fegato, polmoni, budella scottate e ridotte in piccoli pezzi).
Si procede poi alla cucitura delle cosce e delle spalle, del bacino, delle scapole e dei fori lasciati aperti nella superficie esterna del corpo dall’asportazione degli zampetti.
A questo punto può essere adottata la tecnica dell’impalamento, cioè il posizionamento di un palo di legno all’interno del corpo, facendolo entrare forzatamente dalla bocca, disarticolando le mandibole e spingendolo sino a farlo fuoriuscire in corrispondenza della regione anale.
Questa procedura era molto utilizzata nel passato, quando non si usava disossare il suino (le ossa venivano eventualmente tranciate) e lo si cuoceva veniva cotto direttamente sul fuoco: vi era, perciò, la necessità di sostenerlo sistemando il palo su due appoggi.
Per girare il suino in modo che le varie parti del corpo si cuocessero in maniera omogenea, le estremità del legno venivano intagliate a forma di quadrato di modo che il suino potesse essere girato in quattro posizioni. Il palo serviva anche per il trasporto dopo la cottura.
Il disossamento è diventato di uso comune con l’avvento delle moderne tecnologie di cottura, soprattutto per diminuire il quantitativo del peso da cuocere ed agevolare la preparazione dei tagli da servire.
La cottura varia a seconda della mole dell’animale, generalmente si calcola circa un’ora ogni 10 kg di peso, con temperature di 160-180° e va controllata di tanto in tanto per verificare il progressivo rosolamento. Ogni ora, poi, la porchetta viene tolta dal forno e bagnata con il suo grasso colato in cottura: è questo che le dona la sua tipica crosta dorata e croccante. La tradizione vuole che la Porchetta sia arrostita nel forno a legna, ma questo metodo non assicura il rispetto delle severe norme igieniche, che prevedono un perfetto lavaggio del forno dopo l’uso. Inoltre, non garantisce una cottura uniforme a temperatura costante e tende a seccare le parti più magre del maiale. Per questi motivi, ormai si usa arrostire la porchetta in moderni forni in acciaio inox.
Nonostante il fatto che quasi sempre la Porchetta venga fatta raffreddare e poi affettata, in realtà il momento migliore per gustarla è quando è ancora calda e il profumo è inebriante e il suo sapore è unico.
Col tempo, poi, il termine “porchettare” è diventato di uso comune e sottintende un metodo di preparazione che prende spunto dalla Porchetta vera e propria e viene usata anche per altre carni o pesci. Di qui il coniglio in porchetta, o la carpa in porchetta; nell’Anconetano si usa fare le “raguse” in porchetta, i murici dalla conchiglia ornata di spine, e normalmente prevale l’uso del finocchetto selvatico.
Quante volte, durante una gita o una passeggiata, abbiamo incontrato lungo le strade, nei parchi, nelle sagre paesane, quei camioncini con la scritta ben evidente: PORCHETTA, e visto persone in attesa del loro panino imbottito con questa carne così succulenta…
Cibo di strada per eccellenza, il pane che la ospita dev’essere fresco, deve scrocchiare sotto i denti ed essere ricco di Porchetta affettata. Che non va distribuita come capita: deve esserci la giusta quantità di grasso e di magro, accompagnata da un pezzo di crosta croccante.
La crosta, è questa la chiave di lettura della Porchetta: se non è croccante la Porchetta non ci soddisfa, non ci sembra buona.
Possiamo dire che la Porchetta mette tutti d’accordo in ogni occasione. Viva la Porchetta!
Fonti:
www.pubblicitaitalia.com
http://www.famigliaricciotti.it
www.taccuinistorici.it
www.loveitalianfood.it
www.accademiaitalianacucina.it
www.porchettadoc.it
Wikipedia – Porchetta
Grande Enciclopedia Illustrata della Gastronomia – Marco Guarnaschelli Editore
La cucina italiana – Alberto Capatti e Massimo Montanari
Foto di copertina : https://www.adesso-online.de/italienisch-hoeren/la-porchetta-di-ariccia
Partecipano come contributors:
Donatella Bartolomei, Fave in porchetta
Che bell’articolo, lettura piacevole e interessante! grazie per il tuo contributo e…viva la porchetta naturalmente:-(