Confettura di more

Pubblicazione: 16/08/2016

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Giornata Nazionale della confettura di more

Ambasciatrice Alessandra Molla per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Hai mai mangiato – diceva il Barbarisi allo Sperelli –
certe confetture di Costantinopoli,
morbide come una pasta, fatte di bergamotto,
di fiori d’ arancio e di rose,
che profumano l’alito per tutta la vita?
(Gabriele d’ Annunzio, il Piacere, 1889)

Il termine marmellata deriva dalla parola portoghese marmelo, che significa “mela cotogna”, dal greco “mela di miele”.
Dal ricettario romano attribuito ad Apicio e risalente al IV-V secolo dopo Cristo, si sa che già i Greci conservavano le mele cotogne, cuocendole lentamente per addensare gli zuccheri contenuti.
Il termine “mela di miele” non deriva dall’aggiunta di miele alle mele cotogne, ma dal fatto che la polpa del frutto, praticamente immangiabile anche in fase di maturità (poco dolce, dura e acre), durante la cottura si trasforma in modo naturale in una polpa molto dolce e con uno spiccato profumo di miele, e senza l’aggiunta di alcun dolcificante.

Come sempre esistono leggende sull’origine del termine “marmellata”, che coinvolgono personaggi reali, come ad esempio Maria de’ Medici.
Dopo il matrimonio con Enrico IV, Maria si trasferì in Francia con tutta l’equipe di cuochi toscani, pasticceri e gelatieri.
Quando un giorno si ammalò e il dottore le diagnosticò una forte carenza di vitamina C, si mandarono a prendere gli agrumi più rinomati e buoni di quell’epoca, ossia gli agrumi di Sicilia.
Ma il lungo viaggio non avrebbe garantito la freschezza e la conservazione degli agrumi fino a Parigi: si pensò allora di farne una marmellata, e nelle casse contenenti le marmellate venne apposta una frase: “per Maria ammalata”.
All’arrivo delle casse in Francia, i cuochi francesi, molto curiosi, assaggiarono questa squisita specialità, e quando andarono a leggere sulla cassa per vedere di cosa si trattava lessero :
per mari ammalata – por maire ammalate – por maimalade – marmelade, da qui il termine francese.

Spesso il termine marmellata viene confuso con il termine confettura, tant’è che nel linguaggio comune queste due parole sono considerate sinonimi. In realtà sono due prodotti differenti e la differenziazione è stata sancita da una legge, la direttiva europea n. 79/693 del 1979, recepita dall’ordinamento italiano nel 1982 con il D.P.R. 8 giugno 1982, n. 401.
La comunità Europea stabilì che la marmellata è un prodotto fatto di zucchero e agrumi (arancia, mandarino, limone, cedro, bergamotto, pompelmo), in cui la percentuale di frutta sia almeno il 20%. Le parti di agrumi utilizzabili sono la polpa, la purea, il succo, gli estratti acquosi e la scorza.
La confettura è un prodotto contenente zucchero e polpa o purea di tutti gli altri tipi di frutta. La percentuale di frutta non deve essere inferiore al 35%, ma può salire al 45%: in questo caso si parla di confettura extra.
Un’altra categoria è la composta: qui la percentuale di frutta non deve essere inferiore ai due terzi e lo zucchero è sensibilmente minore.
Sia la marmellata che la confettura vengono conservate in vasetti di vetro sottoposti ad un processo di sterilizzazione e sotto vuoto.

Conservare significa bloccare negli alimenti il processo di deperimento, neutralizzando l’attività di alcuni microorganismi. Ciò si ottiene seguendo precisi procedimenti: l’utilizzo di ingredienti conservanti (succo di limone e zucchero), la cottura e la sterilizzazione.
La conservazione provoca un’alterazione delle qualità organolettiche e nutritive della frutta, ma rimane un metodo efficace per smaltire le eccedenze e sfruttare anche la frutta che, per deperimento o ammaccature, non può essere consumata fresca.
La trasformazione casalinga degli alimenti permette ai cibi di mantenere, comunque, un buon valore nutritivo, certamente più alto rispetto ai prodotti commerciali.
I recipienti ideali sono i vasetti di vetro, sterilizzati e asciugati con cura per evitare la formazione di muffe. Le capsule devono essere perfette, altrimenti sono da sostituire.
Oggi parliamo della Confettura di more.

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more di rovo

La mora fa parte dei “piccoli frutti” insieme ai ribes, all’uva spina, ai mirtilli, ai lamponi, alle fragole e all’uva.

Ci sono principalmente due tipi di more: le more di gelso e le more di rovo.

Le more di gelso si suddividono in bianche e nere.

Il Gelso bianco, Morus alba, può vivere 4 secoli, è nativo delle aree centrali e orientali della Cina, dove veniva impiegato per la bachicoltura, perché la larva del baco da seta è ghiotta delle sue foglie. Successivamente, in età coloniale, il gelso bianco è stato importato in Europa per lo stesso motivo e fino alla metà del ‘900 era molto diffuso; con l’avvento delle fibre sintetiche, però, l’allevamento del baco da seta è andato scomparendo e così anche la coltivazione di qusta pianta.
Il frutto non è molto dolce, leggermente insipido al palato e per questo motivo non fu mai coltivato come pianta da frutto.

Il Gelso nero (Morus nigra) è molto più diffuso, originario dell’ Asia minore, già noto nell’ antica Grecia e nell’ antica Roma, dove veniva coltivato per il sapore dei suoi frutti. Nella Metamorfosi di Ovidio, il gelso nero tratta della drammatica storia di due giovani babilonesi: due innamorati che si trovavano spesso presso una fonte all’ ombra di un albero di gelso, di nascosto, poichè le due famiglie contrastavano il loro amore.
Un giorno Tisbe, la fanciulla innamorata, arrivata per prima alla fonte, vide una leonessa e fuggì spaventata, lasciando cadere il velo. La belva, lacerandolo, lo arrosssò del sangue di una preda precedentemente uccisa. Quando arrivò il giovane Piramo e trovò il velo, credette che Tisbe fosse morta per colpa sua. Disperato si trafisse il cuore e il suo sangue schizzò sulle more di gelso. Quando Tisbe tornò e vide l’accaduto, maledisse gli alberi: “porterai per sempre frutti scuri in segno del lutto per testimoniare che due amanti ti bagnarono con il loro sangue” e si trafisse anche lei.

La coltivazione del gelso una volta era molto diffusa, ancora se ne può trovare traccia nelle vecchie distese di vitigni, dove i moràri avevano anche la funzione di sostegni vivi delle viti, in concomitanza con l’allevamento del baco da seta; oggi è quasi del tutto dimenticata ed è un vero peccato perché un solo albero produce una grossa quantità di frutti ogni anno, e senza bisogno di alcun trattamento.
Inoltre ogni parte di questo albero può essere utilizzata: frutti, foglie, corteccia e radici, in quanto contengono numerosi principi attivi che le rendono utilissime contro vari disturbi.
Abbiamo poi le more di rovo, nome scentifico “rubus ulmifolius”; rubus è il nome che i latini hanno dato ai rovi e alle rose, ulmifolius, perché le sue foglie assomigliano a quelle dell’olmo.
Il rovo è un arbusto appartenente alla famiglia delle Rosacee, la specie di piccoli frutti più diffusa al mondo allo stato spontaneo. I semi di questi frutti sono stati rinvenuti nelle località di origine lacustre del neolitico: questo testimonia l’esistenza della pianta e il consumo dei suoi frutti già più di 10.000 anni fa.
La sua diffusione fino ad altitudini elevate, con condizioni del terreno e del clima più disparate, dimostra la forte resistenza di questa pianta.
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Nella cultura biblica, al rovo è collegato un simbolismo negativo: in un cespuglio di rovi si sarebbe impigliato un ariete che Abramo sacrificò al posto del figlio Isacco ed in cui i teologi scorsero un simbolo di Gesù coronato di spine.
Anche nella cultura popolare il rovo ricorda immagini negative: dalla raffigurazione dell’Ingiuria come una donna orribile con un mazzo di rovi in mano, al linguaggio dei fiori in cui il rovo simboleggia l’invidia, sino al mondo delle fiabe, in cui i rovi impediscono il passaggio ai principi che cercano di raggiungere la bella addormentata nel bosco.

Il rovo spontaneo era conosciuto ed apprezzato già nell’antichità, in particolare per i suoi frutti. Secondo Plinio, fra le tante virtù delle more vi era quella di guarire dal veleno dei serpenti e degli scorpioni.

Le piante delle more hanno bisogno di un luogo assolato o leggermente ombreggiato per poter crescere bene.
Il frutto, generalmente, è pronto per essere raccolto quando tende a staccarsi da solo senza sforzo, e di solito i passaggi per la raccolta devono essere fatti ogni 4-6 giorni.
La raccolta può cominciare da luglio e si potrae per tutto il mese di settembre.
Le more contengono vitamine B e C, acido salicilico, pectina e zuccheri semplici. Sono dissetanti e diuretiche, e si possono consumare al naturale oppure in preparazioni come succhi, sciroppi, gelatine, confetture, ecc.
Una piccola curiosità: si dice che “le more più dolci sono le prime a maturare”!

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CONFETTURA DI MORE

Ricetta per 5 vasetti da 150 ml
1,1 kg di more di rovo
250 g di zucchero di canna

Mondare le more togliendo il picciolo, lavarle e farle sgocciolare.
Metterle in una casseruola e farle cuocere a fuoco moderato per circa 10 minuti.
Passarle al setaccio e rimettere il passato in una padella di alluminio dal fondo spesso, o meglio nell’apposita pentola in rame (bassine à confiture).
La cottura della frutta favorisce l’evaporazione dell’acqua.
Aggiungere lo zucchero e fare cuocere lentamente, mescolando di tanto in tanto con un cucchiaio per circa 20 minuti.
Per controllare la cottura è sufficiente versare qualche goccia di confettura su un piatto: se non scivola, ma risulta addensata, è pronta. Se però avete un termometro da cucina, controllate la temperatura: al raggiungimento dei 105 gradi la confettura è pronta.
Riempire I vasetti con la confettura ancora calda, chiudere ermeticamente, capovolgere il vasetto e fare raffreddare (meglio su un tagliere di legno), coprendo i vasetti con un panno.
In questo modo si crea il sotto-vuoto e si garantisce l’assenza o quasi di microorganismi all’interno dei vasetti.
I vasetti si conservano fuori dal frigorifero in luogo fresco, asciutto, aerato e buio; una volta aperti, vanno conservati in frigorifero e consumati in tre settimane.
Fonti:
http://www.artimondo.it/magazine/qual-e-la-differenza-tra-marmellata-e-confettura/
www.my-personaltrainer.it/alimentazione/marmellata.html
www.lastampa.it/2013/10/18/società/cucina/notizie/attualità/marmellata-o-confettura-X8aKr7OO3OMsbkDBZrRKyJJ/pagina.html

More di gelso. Proprietà e benefici di un frutto dimenticato


www.giardinaggio.it/frutteto/rovo/rovo.asp
http://marmellale.weebly.com/storia-della-marmellata.html
Partecipano come contributors:
Stefania Pigoni, Confettura di More
Enrica Gouthier, Confettura di more selvatiche
Alessandra Molla, Confettura di More di Gelso

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