Giornata Nazionale degli Gnocchi
Ambasciatrice Susanna Canetti per il Calendario del Cibo Italiano – Italian Food Calendar
Da Nord a Sud, dall’antichità all’epoca moderna, sulle tavole più umili e nei menù dei ristoranti stellati, gli gnocchi sono, senza ombra di dubbio, il primo piatto più amato e diffuso nella nostra penisola. Uno di quei piatti che mette sempre tutti d’accordo, che sa di festa e di famiglia, che ci riporta ai ricordi legati alla nostra infanzia, che regala allegria e buonumore, proprio come recita la famosa frase “Ridi, ridi che la mamma ha fatto i gnocchi”. Gli gnocchi sono sempre stati presenti nell’immaginario collettivo nazionale, e la semplicità della ricetta ha fatto sì che diventassero un piatto caro alla gastronomia italiana. Un piatto straordinario, di origini umilissime, con una diffusione che supera ogni statuto sociale: dalla cucina contadina a quella di corte. Massimo Montanari fa risalire la loro prima comparsa già nei ricettari del Medioevo e del Rinascimento, e sottolinea come i migliori cuochi di corte li cucinassero: tra questi anche Cristoforo Messisbugo, il quale prevedeva gnocchi per la tavola degli Estensi a Ferrara. Comparvero pure a Mantova, nella magnifica corte degli Sforza, durante i festeggiamenti per le vittorie militari o i pranzi di nozze: erano a base di mollica di pane, latte, mandorle tritate e cacio lodigiano, e venivano chiamati zanzarelli. In particolari occasioni, gli zanzarelli subivano delle trasformazioni cromatiche, grazie all’aggiunta di ingredienti vegetali nell’impasto, come ad esempio gli spinaci, e il loro brodo diventava dorato, sinonimo di ricchezza della casa, con uova e zafferano.
Gli gnocchi nella storia
Con ogni probabilità gli gnocchi rappresentano la prima forma di pasta usata dall’uomo, nati dal gesto spontaneo di mescolare a freddo la farina con poca acqua, per farne delle palline da cuocere in acqua bollente. Nella Val di Ledro, in Trentino, dove sono state portate alla luce tracce di un villaggio risalente all’età del bronzo, sono stati rinvenuti una decina di piccoli bocconi, realizzati con un impasto di farina ottenuta tritando grossolanamente i semi di alcuni cereali con delle pietre. In assenza di quel grano che solo più tardi sarebbe nato dal suo progenitore, più proteico ma meno produttivo, fu certamente il farro il primo cereale ad essere coltivato in Tuscia e in Lazio, il quale iniziò a circolare nella penisola italica intorno al VII sec. a.C., diventando il cibo preferito di Etruschi e Romani. Chiamato anche spelta, costituiva la base dell’alimentazione quotidiana, ed era tanto indispensabile alla sussistenza dei nostri antenati da essere considerato sacro. Con la farina di farro si realizzava una pappa detta in principio puls, e poi pulmentum, che era il fondamento della tavola romana: questa pietanza è l’antenata di ogni altra nostra preparazione culinaria. Dalla puls si arriva ai pulmentari del Medioevo, quando già ci sono a disposizione sorgo, orzo, segale, miglio e panìco, dai quali derivano sia l’attuale polenta, che i migliacci o la panizza. Anche gli gnocchi divennero una specie di variante delle polente, ed i ricettari del tardo Medioevo e del Rinascimento ce ne forniscono le prime ricette, all’insegna della più assoluta semplicità: farina, o pane grattugiato, mescolati con formaggio o rossi d’uovo fino ad ottenere delle polpettine da cuocere in acqua bollente o brodo. Successivamente, nella seconda metà del ‘500, con la scoperta dell’America arrivano le patate. In Italia, come nel resto d’Europa, vengono viste per lungo tempo con sospetto, e solo dalla seconda metà dell’800 riescono, con fatica, ad entrare nelle cucine. Questo nuovo prodotto segna in modo indelebile la ricetta originale degli gnocchi che, complice l’uso del tubero nell’impasto, assumono il sapore dolciastro a cui siamo abituati oggi. E’ l’innovazione che si adatta alla tradizione, è la storia che si ripete. Questo è un esempio lampante di come le culture alimentari dei vari popoli sappiano rielaborare le novità, adattandole alla propria storia. E la vecchia ricetta che fine ha fatto? Continua ad esistere, parallelamente alla nuova, come spesso accade. Gli gnocchi medievali di farina e pane grattato permangono, spesso mescolati ed arricchiti con altri ingredienti e sapori, e restano protagonisti di ricette tradizionali come ad esempio i canederli (o knödel), che la gastronomia italiana di influenza tedesca ci propone nelle varianti in brodo o asciutte.
Gnocchi o maccheroni?
In una delle novelle del “Decamerone” di Giovanni Boccaccio, l’ingenuo personaggio di Calandrino descrive così il Paese di Bengodi, un immaginario paese dell’abbondanza simile a quello di Cuccagna “…ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli e cuocergli in brodo di capponi, e poi gli gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava più se n’aveva”. Fu Luigi Messedaglia, il primo vero storico dell’alimentazione italiana, a spiegare che quei maccheroni erano in realtà gnocchi, perché, in origine, tutte quelle preparazioni che richiedevano di essere impastate, cioè ammaccate, venivano chiamate macco (dal verbo maccare). Anche Bartolomeo Scappi, cuoco alla corte del papa a Roma, nella sua famosissima opera, cruciale per la cucina italiana da allora in avanti, ricorda questi “maccaroni” detti gnocchi, fatti con fior di farina, pan grattato, olio d’oliva, zafferano e acqua bollente, conditi con una salsa all’aglio e spolverizzati di pepe e cannella. Fino all’Ottocento è questo il nome che manterranno; poi, ad un certo punto, i maccheroni diventeranno sinonimo di pasta secca destinata ai signori, mentre gli gnocchi resteranno al popolo. Ancora oggi, in alcune zone d’Italia, permane la tradizione di utilizzare la parola maccheroni per indicare gli gnocchi.
Perché Giovedì gnocchi?
Nel Dopoguerra, nelle trattorie romane si iniziò a fare una specie di rotazione settimanale di alcuni piatti tipici, e nacque così l’usanza del “Giovedì gnocchi, Venerdì pesce o meglio baccalà e ceci (in osservanza del precetto cattolico), Sabato trippa (le carni si macellavano la vigilia della domenica)”. In questo modo veniva sottolineata l’importanza del giovedì come giorno quasi festivo, che necessitava di un piatto elaborato e gustoso, e che anticipava quello di magro del giorno successivo, legato alla tradizione della penitenza e del digiuno. Se il detto è cosa recente, il collegamento degli gnocchi con il giovedì ha origini ben più vecchie. Con il farro, nell’antica Roma, si celebrava il rito matrimoniale chiamato confarreatio, una cerimonia riservata esclusivamente ai patrizi che, dopo il sacrificio a Juppiter Farreus, vale a dire Giove del Farro, vedeva donata agli sposi una piccola focaccia di farro, da spezzare e mangiare alla presenza di dieci testimoni. Siccome il giovedì è il giorno della settimana dedicato a Giove, e appurato che gli gnocchi venivano realizzati con acqua e farina di farro, da questo antico rito romano si fece largo la tradizione di cucinare gli gnocchi di giovedì. Nel corso degli anni gli gnocchi sono stati caricati di molteplici valenze simboliche; venivano preparati in occasioni particolari ed erano il cibo della vigila per eccellenza. Inoltre si consumavano a scadenze fisse: la vigilia di San Giovanni (che segnava il solstizio d’estate, contrassegnato dal sacrificio del grano), per il giorno dei Morti, durante la cena della Vigilia di Natale e il Giovedì Grasso. Infatti, durante il Carnevale, la sera antecedente il Venerdì Santo, gli gnocchi erano protagonisti del banchetto di addio alla carne, che veniva allestito in vista della Quaresima. Non è un caso che, a Verona, il Re del Carnevale prenda il nome di Bacanàl del Gnoco, un vecchio barbuto che il Venerdì Santo distribuisce dolciumi ai bambini e gnocchi agli adulti.
L’Italia degli gnocchi
Se la caratteristica degli gnocchi è di essere un semplice frammento di impasto, l’estetica non dovrebbe avere un grande peso; invece li possiamo trovare in tante forme diverse (piccoli, grandi, larghi, stretti, ovali, oblunghi, cilindrici, sferici e cubici) e con i più svariati ingredienti. La fantasia, come sempre, ha aggiunto sapore al cibo e stimolato con gioia l’appetito. Gli gnocchi di patate hanno sicuramente preso il sopravvento, accoppiandosi (e non poteva che essere così) con il loro compagno americano, il pomodoro; parallelamente hanno continuato a permanere tantissime varianti locali, frutto di tradizioni gastronomiche e di una storia segnate dal particolarismo e dalla divisione politica. Il lungimirante Pellegrino Artusi che, ne “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, aveva cercato di dare unità alla complessa gastronomia italiana, cita alcune ricette di gnocchi: di patate, di pollo e patate in brodo, di farina di mais, di semolino, alla romana e di latte (dolci). Da notare è che, con il passare del tempo, la dimensione degli gnocchi si è andata riducendo: siamo partiti da gnocchi grossi come uova, per arrivare a gnocchetti piccolissimi, arricciolati su se stessi per trattenere tutto il gustoso condimento.
Declinati in una miriade di ricette territoriali, si possono trovare in numerose regioni d’Italia: canederli e strangolapreti in Trentino, ripieni di susine in Friuli Venezia Giulia, alla bava in Valle d’Aosta, alla lariana a Como, alla romana nel Lazio, alla sorrentina in Campania, gnudi in Toscana, spätzle in Alto Adige, gnocheti de gries a Trieste, strangulapriévete a Napoli, malloreddus in Sardegna, pisarei a Piacenza (solo per citarne alcuni).
Gli gnocchi, nella loro semplicità, rispecchiano l’identità culinaria italiana, fatta di tanti campanili; e raccontano, in modo corale, storie e tradizioni differenti, riunite sotto il vessillo della grande cucina del nostro paese. Perché, alla fin fine, quello che ognuno di noi sogna, non è qualcosa di esotico, ma il conforto dei sapori conosciuti.
Gnocchi di patate di Pellegrino Artusi ricetta n. 89 – da “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”
Ingredienti per 3 persone:
400 g di patate grosse e gialle (scegliete patate vecchie dalla polpa farinosa, o patate rosse a pasta gialla)
150 g di farina di grano tenero (debole)
Così l’Artusi:
“Cuocete le patate nell’acqua o, meglio, a vapore e, calde bollenti, spellatele e passatele per istaccio. Poi intridetele colla detta farina e lavorate alquanto l’impasto colle mani, tirandolo a cilindro sottile per poterlo tagliare a tocchetti lunghi tre centimetri circa. Spolverizzateli leggermente di farina e, prendendoli uno alla volta, scavateli col pollice sul rovescio di una grattugia. Metteteli a cuocere nell’acqua salata per dieci minuti, levateli asciutti e conditeli con cacio, burro e sugo di pomodoro, piacendovi. Se li volete più delicati cuoceteli nel latte e serviteli senza scolarli; se il latte è di buona qualità, all’infuori del sale, non è necessario condimento alcuno o tutt’al più un pizzico di parmigiano.”
Così la mia versione:
Mettete le patate con la buccia in una pentola, copritele di acqua fredda, portate ad ebollizione e cuocete fino a quando risultino tenere (il tempo varia in base alla dimensione delle patate, cercate di sceglierle della stessa pezzatura). Quando sono ancora calde pelatele, passatele in uno schiacciapatate e fatele cadere direttamente sulla spianatoia. Aggiungete la farina poco alla volta, ed utilizzatene quante ne serve per ottenere un impasto asciutto ma soffice (a me sono bastati 100 g). Non impastate troppo a lungo per non sviluppare la maglia glutinica della farina. Con delle porzioni di impasto realizzate dei filoncini, spolverizzando sempre di farina il piano di lavoro, e tagliateli a tocchetti di circa 1,5 cm. Prendete i tocchetti uno alla volta e passateli sull’apposito attrezzo di legno, scavandoli con il pollice e facendoli scorrere per rigarli sull’altro lato (altrimenti usate il dorso di una forchetta). Cuocete gli gnocchi in abbondante acqua salata in leggera ebollizione, scolandoli con un mestolo forato dopo 5 minuti da quando sono venuti a galla. Conditeli a piacere con burro e formaggio, oppure con salsa al pomodoro. Io ho preparato un ragù semplice con un soffritto di scalogno, salsiccia luganega, vino bianco, passata di pomodoro ed erbe aromatiche, il tutto spolverizzato con abbondante Parmigiano Reggiano.
Fonti:
https://premiatetrattorieitaliane.com/2013/04/02/sui-mille-modi-di-preparar-li-gnocchi/
Artusi , P., “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/medioevale/paste-cereali/storia-degli-gnocchi.html
http://www.24orenews.it/italia-da-gustare/1094-
http://www.ilgiornaledelcibo.it/piatto/primi-con-gnocchi/
http://cucina.blogautore.espresso.repubblica.it/quei-maccheroni-del-bengodi-descritti-da-boccaccio/
http://www.taccuinistorici.it/ita/news/antica/paste-cereali/storia-del-farro.html
http://www.mtchallenge.it/2016/09/08/mtc-n-59-storia-gnocchi/
Partecipano come contributors:
Sara Sguerri, Gnocchetti Verdi di Spinaci alle Vongole Veraci
Alessia Massari, Gnocchetti di Zucca e Capesante alla liquirizia
Giuliana Fabris, Gnocchi di patate all’erba cipollina e chips di San Daniele
Serena Bringheli, Gnocchi di patate ripieni
Enrica Gouthier, Gnocchi crema di zucca e porri
Cecilia Mazzei, Gnocchetti di farina di ceci
Erica Zampieri, Segreti (gnocchi con farina di nocciole e fonduta di parmigiano reggiano)
Daniela Ceravolo, Gnocchi di patata viola con gamberi in olio cottura
Sonia Lunghetti, Gnocchi ricotta e spinaci
Camilla Assandri, Gnocchi di pane in brodo
Stefania Pigoni, Gnocchi di semola
Irene Prandi, Le Raviolas de toma
Susanna Canetti, Gli Gnocchi di patate di Pellegrino Artusi
Laura Bertolini, Gnocchi di ricotta e pesto con vongole e pomodorini gialli
ma che Giornata meravigliosa! 🙂 Ora passerò da tutte e mi scuso perchè spesso cerco di lascirvi commenti ma poi – per qualche misteriosa incompatibilità tra WP e BSpot – a volte non compaiono!
Bell’articolo e bel piatto!
Grazie Susanna
Bellissimo articolo Susanna, complimenti!